sabato 31 marzo 2012

la colpa del peperone


Questo è un sogno, ma credo che meriti di essere raccontato anche solo per mettere in guardia la gente dai pericoli dei peperoni a cena.



Sono un aspirante sceneggiatore di fumetti, e fin qui nulla di nuovo, ma non riesco a produrre nulla perché sono un nuovo arrivato e gli editori cercano solo la qualità delle grandi firme. Al che io giungo alla logica conclusione che per poter pubblicare devo prima fare fuori gli sceneggiatori famosi.



Si inizia con Alessandro Bilotta è il più semplice perché fin troppo disponibile. È facile metterlo in trappola. Mi presento come un aspirante disegnatore, usando vecchie tavole di Capullo ritoccate con Photoshop per sembrare fatte a matita. Gli strappo un appuntamento e quando è sul posto lo rapisco e lo interrogo su come si fa a pubblicare. Veramente, non quella minestra riscaldata che insegnano nelle scuole.

Da lui apprendo che esiste una mafia degli sceneggiatori che da anni opera come un sindacato degli autori più importanti. Il loro capo? Bartoli. Devo eliminarli se voglio riuscire. Bilotta intanto ride, ha una trasmittente addosso. Stanno arrivando.

Un secondo dopo che gli ho sparato in testa ed ecco che Giacomo Bevilacqua sfonda un muro gridando “panda spacca!”. È uno scontro impari fin dai primi secondi. I suoi occhi cerchiati di nero mi fissano mentre mi sballotta in giro a suon di pugni. Sono a terra, la pistola è lontana, lui e su di me.

“a panda piace...” carica il pugno, non ho molto tempo per prendere il coltello “UCCIDERE!” tira il colpo con forza ma qualche dio pietoso mi da la forza per scansarmi, non prima di avergli affondato il coltello nella spalla. Si ira come una bestia ferita pronta a scattare. Recupero la pistola, tre colpi in rapida successione al petto. È agonizzante mi fissa stupito mentre si tocca il petto sanguinate: “a panda non piace...morire” poi va giù.



Stacco, il sogno ha un ottima regia. Bartoli fuma il sigaro con aria preoccupata sul balcone di casa. Dice qualcosa al telefono poi mette giù. La figlia piccola gli porta un Uzi carico.



Il giorno dopo sono sui tetti di Roma a caccia di Recchioni. È stato incauto, dal suo blog riesco a capire grosso modo dove abita, le mie fonti fanno il resto. Quando lo vedo passare esito, mancano pochi numeri al finale di John Doe... è l'esitazione che mi frega si gira un attimo prima che io prema il grilletto del mio fucile da cecchino. Lo becco al braccio ma non stiamo parlando di sprovveduti. Lui sarà sopravvissuto a decine di attentati simili. Corre via portandosi fuori visuale io mi lancio all'inseguimento.



Altro stacco, Recchioni corre a casa sua si fascia rapidamente il braccio offeso poi va alla libreria dei fumetti. Spinge su un finto dvd di “anna dai capelli rossi” e la libreria si spalanca rivelando una piccola armeria: due katane, un cannemozze e due pistole. Senza considerare il pezzo forte ovvio.



Io intanto corro per il quartiere seguendo i segni di sangue. Credo di essere vicino, lo sono molto più di quanto credo.

“ehi stronzo!” urla Recchioni con un piede sul davanzale di casa sua e un RPG in spalla. Nel rombo del missile si perde il resto della frase. Salto dietro un SUV un attimo prima che sia troppo tardi. L'esplosione mi scuote come maionese in un pub. Ci vedo doppio, mi fa male tutto, se non mi riprendo in fretta mi farà a pezzi. Il tempo di battere le palpebre e lui è su di me sventolando le katane. I miei timpani sono troppo provati dall'esplosione per sentire quello che dice.

Scanso il primo colpo, poi il secondo, estraggo il coltello e paro il terzo mentre il quarto colpo trancia la pistola. Sono fottuto ed è lì che lui fa il suo unico errore: a terra viso a viso mi spiega cosa mi farà con quella stramaledetta spada giapponese e le mie budella. Gli azzanno il naso. Una ginocchiata alle palle e poi una lotta furibonda che va avanti per non so quanto. Nell'adrenalina della lotta afferro un sampietrino smosso dall'esplosione e lo applico ripetutamente alla sua faccia fino a farne uscire idee e cervello.

Corro verso casa di Bartoli, se la devo chiudere deve essere adesso, il sangue mi cola sugli occhi. Non ho idea di come sono entrato ma ora lui è davanti a me mi da le spalle mentre fissa il paesaggio, un sigaro in bocca e un gatto in braccio

“e così ci rincontriamo...” dice calmo.

Punto la pistola vorrei dire che ho detto qualcosa di incommensurabilmente figo ma la verità è che un clagore metallico mi richiama alla realtà. Sono nel mio letto, è passato da un po' mezzogiorno e in cucina qualcuno ha appena fatto cadere tutte le pentole dalla credenza.

Sono rimasto così male dal non aver finito il sogno che mi dimentico di imprecare.

Maledetti.



Ps: se uno qualunque di quelli nominati in questo post leggono la storia faccio prima a scappare in Uganda che a cercare di vincere l'imbarazzo.

2 commenti:

  1. Almeno ne sono uscito bene.
    Ma che roba è?

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  2. è la versione romanzata e un po' delirante di un sogno che feci all'epoca.
    La seconda parte invece è un raccontino ispirato a tutti quei discorsi sulle mafiosate e i wannabe che si facevano di recente

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