sabato 31 marzo 2012

la colpa del peperone


Questo è un sogno, ma credo che meriti di essere raccontato anche solo per mettere in guardia la gente dai pericoli dei peperoni a cena.



Sono un aspirante sceneggiatore di fumetti, e fin qui nulla di nuovo, ma non riesco a produrre nulla perché sono un nuovo arrivato e gli editori cercano solo la qualità delle grandi firme. Al che io giungo alla logica conclusione che per poter pubblicare devo prima fare fuori gli sceneggiatori famosi.



Si inizia con Alessandro Bilotta è il più semplice perché fin troppo disponibile. È facile metterlo in trappola. Mi presento come un aspirante disegnatore, usando vecchie tavole di Capullo ritoccate con Photoshop per sembrare fatte a matita. Gli strappo un appuntamento e quando è sul posto lo rapisco e lo interrogo su come si fa a pubblicare. Veramente, non quella minestra riscaldata che insegnano nelle scuole.

Da lui apprendo che esiste una mafia degli sceneggiatori che da anni opera come un sindacato degli autori più importanti. Il loro capo? Bartoli. Devo eliminarli se voglio riuscire. Bilotta intanto ride, ha una trasmittente addosso. Stanno arrivando.

Un secondo dopo che gli ho sparato in testa ed ecco che Giacomo Bevilacqua sfonda un muro gridando “panda spacca!”. È uno scontro impari fin dai primi secondi. I suoi occhi cerchiati di nero mi fissano mentre mi sballotta in giro a suon di pugni. Sono a terra, la pistola è lontana, lui e su di me.

“a panda piace...” carica il pugno, non ho molto tempo per prendere il coltello “UCCIDERE!” tira il colpo con forza ma qualche dio pietoso mi da la forza per scansarmi, non prima di avergli affondato il coltello nella spalla. Si ira come una bestia ferita pronta a scattare. Recupero la pistola, tre colpi in rapida successione al petto. È agonizzante mi fissa stupito mentre si tocca il petto sanguinate: “a panda non piace...morire” poi va giù.



Stacco, il sogno ha un ottima regia. Bartoli fuma il sigaro con aria preoccupata sul balcone di casa. Dice qualcosa al telefono poi mette giù. La figlia piccola gli porta un Uzi carico.



Il giorno dopo sono sui tetti di Roma a caccia di Recchioni. È stato incauto, dal suo blog riesco a capire grosso modo dove abita, le mie fonti fanno il resto. Quando lo vedo passare esito, mancano pochi numeri al finale di John Doe... è l'esitazione che mi frega si gira un attimo prima che io prema il grilletto del mio fucile da cecchino. Lo becco al braccio ma non stiamo parlando di sprovveduti. Lui sarà sopravvissuto a decine di attentati simili. Corre via portandosi fuori visuale io mi lancio all'inseguimento.



Altro stacco, Recchioni corre a casa sua si fascia rapidamente il braccio offeso poi va alla libreria dei fumetti. Spinge su un finto dvd di “anna dai capelli rossi” e la libreria si spalanca rivelando una piccola armeria: due katane, un cannemozze e due pistole. Senza considerare il pezzo forte ovvio.



Io intanto corro per il quartiere seguendo i segni di sangue. Credo di essere vicino, lo sono molto più di quanto credo.

“ehi stronzo!” urla Recchioni con un piede sul davanzale di casa sua e un RPG in spalla. Nel rombo del missile si perde il resto della frase. Salto dietro un SUV un attimo prima che sia troppo tardi. L'esplosione mi scuote come maionese in un pub. Ci vedo doppio, mi fa male tutto, se non mi riprendo in fretta mi farà a pezzi. Il tempo di battere le palpebre e lui è su di me sventolando le katane. I miei timpani sono troppo provati dall'esplosione per sentire quello che dice.

Scanso il primo colpo, poi il secondo, estraggo il coltello e paro il terzo mentre il quarto colpo trancia la pistola. Sono fottuto ed è lì che lui fa il suo unico errore: a terra viso a viso mi spiega cosa mi farà con quella stramaledetta spada giapponese e le mie budella. Gli azzanno il naso. Una ginocchiata alle palle e poi una lotta furibonda che va avanti per non so quanto. Nell'adrenalina della lotta afferro un sampietrino smosso dall'esplosione e lo applico ripetutamente alla sua faccia fino a farne uscire idee e cervello.

Corro verso casa di Bartoli, se la devo chiudere deve essere adesso, il sangue mi cola sugli occhi. Non ho idea di come sono entrato ma ora lui è davanti a me mi da le spalle mentre fissa il paesaggio, un sigaro in bocca e un gatto in braccio

“e così ci rincontriamo...” dice calmo.

Punto la pistola vorrei dire che ho detto qualcosa di incommensurabilmente figo ma la verità è che un clagore metallico mi richiama alla realtà. Sono nel mio letto, è passato da un po' mezzogiorno e in cucina qualcuno ha appena fatto cadere tutte le pentole dalla credenza.

Sono rimasto così male dal non aver finito il sogno che mi dimentico di imprecare.

Maledetti.



Ps: se uno qualunque di quelli nominati in questo post leggono la storia faccio prima a scappare in Uganda che a cercare di vincere l'imbarazzo.

ti ucciderò con un cacciavite


La vita di coppia è intervallata da momenti in cui ci si chiede perchè non i è tenuta la bocca chiusa. Di solito il rimpianto arriva sempre dopo, a danno fatto, ma al momento la mente di Alessandro era più che felice di crogiolarsi in quel pensiero mentre fissava il piccolo frigorifero al centro del soggiorno. Se non fosse stato un elettrodomestico sarebbe stato certo che l'elettrodomestico lo stesse deridendo.

Era una storia che andava avanti da un po'. Un po' troppo in verità: quattro mesi. O meglio ancora da quando Aurora, la sua ambile dolce e irrascibile metà aveva aperto per la prima volta il frigo nel minuscolo angolo cottura della loro nuova casa. La cuciana era un piccolo angolo largo un po' meno della scrivania nell'altra stanza in cui convivevano a stretto contatto lavello fornelli credenza e quello stramaledetto frigo. Aurora era persona pratica ed agile di mente e corpo ma perfezionista come un ragioniere giapponese e irrascibile come Attila l'unno con un occlusione intestinale. C'è da dire a suo merito che aveva tollerato molto di quella casa: la camera da leto sproporzinatamente grande, il soggiorno minuscolo, il bagno col soffitto obliquo che la costringefa a farsi la doccia piegata. Tollerava anche quella ridicola cucina di barbie ma il fatto che l'anta del frigo si aprisse verso i fornelli costringendola ogni volta ad uscire dall'angolo cottura la faceva diventare matta.



Fu uno di quei giorni che Alessandro fece l'errore. Quelle vanterie da uomo che non credi di dover mai mettere in pratica ma che puntualmente ci si ritorcono contro. Aurora era in equilibrio precario sulla soglia della cucina, piegata in una posa innaturale nel tentativo di predere qualcosa dal dannato elettrodomestico. Alessandro, ed io, scorrevamo i canali con aria interessata sul grosso quaranta pollici piazzato al di là della stanza, un metro scarso dal divano. Ai borbottii inaciditi della sua amata alessandro rispose prontamente, e sovrappensiero:

“amò se ti da così fastidio il frigo possiamo smontre lo sportello e mettere il perno sulla altro lato”

il viso di Aurora fece capolino da dietro una confezione di uova “vabbè adesso lascia perdere”

“guarda che non ci vuole niente, l'ho fatto pure a casa mia” rispose Alessandro

“si magari gli posso dare una mano veramente è una fesseria” aggiunsi senza sapere il danno che avevo fatto.

La cosa finì lì. Mangiammo bevemmo ed andammo a dormire, chi in camera chi sul divano per poi andare in giro il mattino seguente.

Si possono dire molte cose di Aurora ma di sicuro non è una persona che si fa spaventare dal lavoro fisico e per giunta ha un ottima memoria. Verso sera sia io che Alessandro tornammo verso la stessa ora solo per trovare il piccolo frigo nel mezzo del soggiorno, cacciaviti, martelli e quantaltro ben disposti sul tavolo e Aurora che studiava nella stanza accanto.

Subito Alessandro capì il sottile suggerimento datogli dalla amore della sua vita e subito si mise all'opera ben conoscendo le conseguenze di una manovra evasiva o di un temporeggiamento.



Fase uno: svuotare il frigo. Fatto non c'era niente già prima

fase due: smontare l'anta. Facile

nota: la prossima volta prima di smontare l'anta assicurarsi che le parti mobili siano state rimosse dalla stessa

fase tre: sganciare il perno. Panico.



Il coperchio non si toglie. nell'ordine i rivelano inutili: tirare, spingere, far leva con i cacciaviti, cacciare i cani, svitare tutto lo svitabile, imprecare, smontare la copertura esterna, imprecare di nuovo, premere tutto quello che sembra premibile, imprecare ancora e più forte, tirare di nuovo.



“allora avete fatto? Su che io ho fame” io ad Alessandro ci guardiamo straniti, il tempo sta per scadere.

“e se provassimo a smontare il coperchio? Vedi qui ci sono delle viti” dico con poca convinzione

“si può essere, è un ferro vecchio magari per arrivare al perno bisogna fare così”

“ e poi o così o stacchiamo il motore ci arrivamo da dietro”



ci rimettiamo al lavoro: via la copertura di alluminio, via l'isolante, via il primo scheletro di metallo del coperchio. Cazzo, non ci sono altre viti e che sono quei perni lì sotto?

È la resa. Non c'è più nulla da svitare e ogni altro tentativo potrebbe compromettere la struttura. Aurora fa la sua apparizione nel suo tutone da studio: “ma che state facendo?!”

“non si apre sopra” dice Alessandro sottintendendo qualcosa come “lascia fare a noi donna che ne capiamo”

“ e quindi avete ensato bene di scassarlo? Vi porto un trapano?” fine ironia

“ma vedi ci stanno solo stanno solo sti perni qui in basso iente viti, devono essere interne, non si può smontare” dico con diplomazia e falsa competenza.

Aurora si avvicina, osserva per un po' poi da una manata sul davanti del coperchio: Tlak!

Il pezzo si sgancia senza problemi, Aurora prende il perno dall'interno e lo sposta da destra a sinistra poi rimette su il coperchio un altra manata e tlak. Come nuovo.



Ci guarda con giusta aria di sufficienza: “rimettete a posto, io vado a finire il capitolo” si gira e va nell'altra stanza non degnadoci di una parola.

Mano male aggiungerei.

giovedì 29 marzo 2012

29/3/2013


Era una notte buia e tempestosa, almeno sulle coste del pacifico. Qui invece c'era un bel tepore. Il sole splendeva e da poco le rondini erano tornate per festeggiare la primavera, i ragazzi uscivano a caccia di belle donne e le gelaterie cominciavano a piazzare i primi gelati dopo il lungo inverno appena passato. Io, dal mio canto, tornavo a casa come tutte le sere: con la testa sognante ed i piedi doloranti dopo un altra lunga giornata equamente divisa tra inseguimenti e fughe. Non che corressi dietro alla gente, non ne avevo né il fisico né il fiato, correvo dietro alle idee. E qualche volta le prendevo pure. Vivevo in una piccola stanza in un piccolo palazzo in una grande città. Ero andato lì in cerca di fortuna e gloria ma all'epoca avevo rimediato solo vesciche sotto i piedi e fatto la fortuna dell'arabo che mi stampava le fotocopie. Un sacco di gente mi doveva far sapere qualcosa ma non chiamavano mai. Dal canto mio io gli ricordavo il loro dovere una volta alla settimana quando rifacevo il mio giro e lasciando alle loro scrivanie l'ennesima coppia di fogli con foto e allegati. Quando poi i piedi iniziavano a farmi male tornavo a casa mi sedevo accanto al telefono ed aspettavo.

Il giro non era la mia sola occupazione, anzi, era quasi uno svago rispetto alle mie reali aspirazioni. Peccato però che nessuno sia mai stato interessato a pagare le aspirazioni. Mi servivano contanti e mi servivano subito e nessuno era disposto a darmeli. Ogni martedì io ed i miei soci ci riunivamo per pianificare, progettare e decidere. Manco stessimo preparando la rapina del secolo. Si avevamo un piano. Ma nulla di più.


Migliaia di parole viaggiavano attraverso la fibra ottica come orfanelli in cerca di adozione. Ogni lunedì dalla mia casella di posta partivano un numero sempre crescente di e-mail come pellegrini verso il nuovo mondo. Non avevano mai loro notizie ma preciso e puntuale ogni primo venerdì bel mese stampavo tutto e lo spedivo con la posta tradizionale. All'epoca pensavo che presto mi sarebbe arrivata una diffida da una delle case editrici. Ma non arrivò neanche quella.

Nessuno si aspettava che era facile ma mi sarei aspettato più vaffanculi e meno silenzio. Mi sentivo come Martin Eden, rozzo protagonista di un romanzo che spedisce in continuazione le sue opere a editori sordi. La differenza tra noi è che io non credo mai che quello che faccio sia un capolavoro, senza parlar della mia panza che Martin deriderebbe ampiamente.


In casa siamo sempre gli stessi. Giulia ha finalmente svelato il suo segreto: è una creatura della notte il suo metabolismo le permette di nutrirsi solo dopo la mezzanotte e questo la costringe ad un unico pasto notturno al posto dei tradizionali tre. Giuseppe si è ritirato dall'attività adesso gestisce una fitta rete di assassini prezzolati invece di svolgere personalmente le missioni come faceva un anno fa. Un altra ragazza è venuta al posto di Francesca: Claudia ma praticamente non si vede.


Ogni tanto, prima di ricominciare a scrivere mi piace pensare agli altri:

Beppe e Giordano quasi sei mesi fa si non intrufolati nella redazione della panini comics. Armati di matita, penne, fotocopiatrice e troppo alcool hanno sostituito Rat-man 121 con una loro versione. Era troppo tardi per fermare la stampa. È stato il numero più venduto di tutti i tempi. Ha battuto anche quello che la foto hot di Ortolani in copertina.


Un editore si è lasciato fregare dall'aspetto apparentemente innocuo di Chiara lasciandola avvicinare abbastanza. Poverino. Mi dicono che adesso viva sotto ponte milvio a imprecare contro i fighetti mentre la versione moderna di cappuccetto rosso dirige la sua azienda.

Di Martina e Mariangela non ho avuto più notizie. Alcune voci mi dicono che hanno sfornato uno spettacolo teatrale tanto allucinate quanto bello che sta facendo impazzire il nord Europa così come le copertine di Andrea arrevotano oltreoceano.


Ogni tanto mi fermavo da McPistilli a prendermi un tranci di pizza per poi passare a trovare Aurora al suo studio all'epoca aveva un cliente particolare con la fissazione per i cavalli. Non ho avuto il coraggio di indagare.


All'epoca in fumetteria ho trovato l'ultima fatica del mio ex professore e del suo socio: Don John, una specie di gangster patito dei fumetti che va a uccidere tutti i vari “esperti di fumetto” che criticano i suoi gusti. le recensioni su internet lo stroncavano senza appello ma il successo di pubblico fu monumentale


Ma la vera cosa che mi cambiò la vita arrivò con una lettera in quella tiepida giornata di primavera. Finalmente qualcuno si accorgeva di me! Da quel giorni diventai commesso all'Ikea!


martedì 27 marzo 2012

Idra


Sei teste



l'idra è una bestia mitologica che mi ha sempre affascinato. Una di quelle cose veramente epiche: più teste tagli più ne escono e tu, povero fesso eroico, non puoi fa altro che continuare a tagliare e morire o farti venire un idea geniale per meritarti il posto che ti spetta nei poemi epici.



Le teste dell'idra sono come le idee: per quelle che partorisci diventano solo spunti per altre idee e ti ritrovi ad avere più spunti che trama. È un momento avvilente ma esaltante allo stesso tempo. Alcune idee vanno tagliate via, altre limate altre ancora sono perfette se solo riuscissi a focalizzarle in due righe. No problem i pezzi andranno a posto al momento giusto.



Col cazzo. A volte mi viene voglia di prendere a testate il pc finché tutto non va al posto suo. Ma non è che ho i soldi per sostituire questa preziosa macchina da scrivere quindi lascio lì. Leggo, vedo un film o faccio qualunque altra cosa il mio cervello ossessivo compulsivo richieda per far quadrare il tutto. È commovente come nella tua testa abbia perfettamente senso e appena provi a metter giù due righe... pufff!



Ok, senza che scendo nel dettagli, credo di aver reso l'idea. Ora pensate il panico che si può scatenare se metti sei aspiranti sceneggiatori in una cucina, gli dici di pensare ad un progetto e poi li lasci lì per un po'.

Di sicuro uno di loro, il più stupido e sprovveduto, quello arrivato per ultimo, darà fiato alla bocca con la sua geniale idea: perché non colleghiamo tutte le storie.



Il lontananza tuona. Le campane suonano a morto, stormi di uccelli volano via terrorizzati. I sei volti si fissano attraverso le bottiglie di birra. Ci vogliono pochi secondi, in tutte le teste frulla lo stesso indecifrabile pensiero: l'idra.



È il panico. Lo sapevamo tutti. Ma saperlo non basta, anche i soldati in Normandia lo sapevano ma non si sono fermati. Non abbiamo ancora azzeccato una scopa col primo progetto e già è il panico per il secondo. L'idra ci divorerà tutti. Sei teste un solo corpo.



E pensare che il mio numero fortunato è il sette.

domenica 25 marzo 2012

Sotto questo inferno (parte 1)

sono ricordi troppo  "belli" per non condividerli. i nomi sono cambiati ma le situazioni sono le stesse

quando ti avevano assunto, la bonanima di sei mesi fa, eri tutti contento: finalmente soldi, finalmente un lavoro. Ora invece stai seduto vicino alla saracinesca fumando le sigarette una dietro l'altra. Tra pochi minuti si apre e la prossima occasione di fumare sai essere lontana quattro o cinque ore.

L Signora Anna, la madre della dirigente. Porta le chiavi e come al solito apri le serrande insieme agli altri che stanno arrivando. Assapori i minuti di pace perchè tra poco si incomincia: accendi le luci sistemi quelle due o tre cose storte nei banchi e cerchi di scacciare il sonno. Fino alle dieci puoi stare tranquillo di solito i clienti se la pigliano comoda ma i fornitori sono già in giro per la città da ore e a momenti iniziierà il valzer delle fatture.

Si inizia col pane: un grassone che fa tanto il simpatico ma che ogni mattina cerca di fregarti sulla pesata. Poi tocca al latte ed alla frutta in rapida successione. Quattro camion tutti con le loro fregature e i loro pacchi. Alla prima occasione molli tutto e torni a quello che dovrebbe essere il tuo lavoro: il banco salumi. Ilaria e Velentina come al solito stanno a chiacchierare infinitamente sempre delle stesse cose. Dici ad Ilaria che ci sono i suoi fornitori e poi finalmente metti su camice e grembiule. Il cappellino può aspettare un altra oretta.

Ilaria dalla porta ti garda contrariata ogni tanto ti chiama con voce allarmata. Sai benissimo che è un trucco, uscire signofica sobbarcarsi il suo lavoro e vederla intanto girare per il supermercato con l'aria di chi sta facendo una cosa importantissima senza far nulla. Da quando hai conosciuto ilaria quella canzone di Vecchioni ha finalmente trovato un senso. Ha sempre qualcosa, crede che il suo diploma di ragioneria la autorizzi a fare il capo. Tu hai le tue cose a cui badare.

Alle nove e mezza, dopo il primo microcosmo di appiccichi le dirigenza fa il suo trionfale ingresso in campo: Carmen e le sue due zie passano rispondendo ai saluti. Portano con se un espressione grave quelle di persone sull'orlo dle precipizio, non le vedrai per un altra oretta mentre fanno colazione giù all'ufficio. Hai già fatto le telefonate del caso. In teoria non potresti ma se aspetti loro l'unica vita che si complica è la tua.

I clienti iniziano ad arrivare insieme a Silvana, una dei capi, con un po' di caffè. Come al solito Valentina intrattine la clinentela mentre tu tagli e affetti. È l'incarico più faticoso ma lo preferisci. Dall'altro lato della sala Ilaria e Salvatore litigano. Salvatore è un ragazzo enorme: alto spalle grosse mani come vanghe, in teoria dovrebbe fare il macellaio in seconda in pratica ne servirebbero altri due per fare tutto quello che gli chiedono.

La cosa che odi di più è stare dietro a quel banco ad assecondare la gente: dopo Striscia la notizia, le Iene e tutto il resto non si fidano di nulla. E fanno bene. La politica del negozio è vendere al cliente quello che crede di volere: roba di marca. Magari fusse così.

Dopo una decina di minuti arriva anche il fornitore dei latticini, passi dieci minuti a tirare su quante mozzarelle fresche ti da oggi nel frattempo Valentina dedica la sua attenzione all'altro fornitore: un tizio che allunga il peso delle provole con l'acqua. Quando finalmente quei due sono andati via inizia la vera giornata. Alla prima occasione ti defili su un lato del banco a preparare i sottovuoto. Dovresti cambiare le date di quelli nel banco ma non ti va di fregare la gente e Valentina si sente troppo il capo per farlo. L'incarico si sposta al pomeriggio. I clienti iniziano ad arrivare, sono quasi le dieci, tutti hanno la loro personalissima idea di qualità e risparmio: tu e Valentina dovete convincerli che siete perfettamente daccordo con loro.

Dopo un po' inizia la prima ondata è il panico: gente che si accalca da tutte le parti in cerca delle offerte, tu spegni il cervello andando col pilota automatico. Intanto Ilaria, con la solita faccia afflitta , viene a informarci che sono inarrivo due camion. Fai finta di niente ma sotto sotto gioisci. Anche se il tuo lavoro è stare qui dietro sicuramente ti chiederanno di uscire a dare una mano e tu potrai sottrarti alla seconda ondata di vecchie lamentose.

venerdì 23 marzo 2012

Alla fine della fiera


È ufficiale i post del blog li dovrei scrivere prima del tramonto, possibilmente prima di stappare la birra. È risaputo che enrambe le cose mi rendono melodrammatico. Se ci mettiamo il carico da unidici che a me la primavera mette da sempre tristezza il gioco è fetto.



Si lo so sono strano, la primavera dovrebbe essere il meglio del meglio: l'estate si avvicina, la natura si risveglia rimpiendo l'aria di polline, le ragazze si spogliano. Tutte cose positive. A parte il polline.

Che ci posso fare? Amo il buio della notte, i tramonti alle cinque di pomeriggio dopo una giornata piovosa. Si, me ne lamento come tutta la gente normale, ma sotto sotto le adoro. Hanno un qualcosa di romantico.



Ma è meglio che mi fermi prima di dare l'impressione di essere una checca piagnucolosa. E poi credo che le colpe che sto dando alla primavera in realtà sono molto più infime di mezze stagioni che si ostinano a tornare mentre tutti ne negano l'esistenza.



Per certi versi siamo ad uno dei momenti della verita per molte cose che però si riassumono a una, o forse due. Fino ora si era trattato di imbrattare file di word e prendersi pacche sulle spalle per come come erano fatti e per come erano belle le idee. Ma adesso c'è gente che vorrebbe disegnare alcune delle mie storie.

Tanto per essere chiari. Non c'è la fila per pagarmi fuori la porta e cose del genere. Non sono anto in grado di spiegarlo, ma ci dovrei provare: fino ora è stato quasi un gioco. Prepara progetti, scrivi soggetti pensa storie, fantastica su chi te le prenderà e fai esagerati conti immaginari su soldi che potresti guadagnare. Ma in fondo non c'era assolutamente nulla di concreto se non le rate della scuola e qualche mail sparuta nello spam.

Adesso ci sono i mezzi per fare sul serio, o almeno provarci. Un po' mi sto cagando sotto.


Sta risalendo la birra dando ai miei pensieri quella voce da “finto duro che se ne batte al cazzo dei problemi”. Chi se ne frega che ci si è imbarcati in questa storia consumando i risparmi di due anni di merda, buttando alle ortiche una rara possibilità di un posto fisso. Per quanto schifoso.

Chi se ne frega se dietro a molti sguardi entusiasti continuo a vedere perplessità e migliaia di versioni della stessa domanda:

“ma perchè invece non cresci?”

francamente sto perdendo il punto della situazione. Dovrei prendere la situazione con oggettività ma i miei occhiali hanno due lenti: una fin troppo ottimista e l'altra disperata. Non sono abituato, non da solo e quelli che possono spingermi stanno infognati nei loro casini.

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

Quattro mesi. Dopo sono finiti i soldi. O la svolta o la resa.

Sarebbe un crimine non continuare. No, sarebbe un crimine non provarci

Ma, onestamente, mi sto cagando sotto.

Ed alla fine della fiera non ci può far niente nessuno.

giovedì 22 marzo 2012

Questioni di principio

Le cose strane succedono qui dentro è un regola non una possibilità. Tanto per dire appena alzato stamattina apro la finestra e sul balconcino al di la del mio piccolo dominio una piastra sporca fa bella mostra di se. La reazione più comune è indagare, chiadersi i perchè ed i percome ma è anche la meno saggia. Un uomo saggio sa che certe volte è meglio non sapere e così preferisce assicurarsi di non essere sotto vento, fare spallucce e continuare come se nulla fosse.



Ci sono strani processi logici in alcuni abitanti di qui: una di loro ad esempio cerca in ogni manera e modo di non trovarsi nello spazio comune quando ci sto pure io. Capisco che la mattina non sono l'adone che voi conoscete ma credo che il semplice fatto che mi stia facendo il caffè non deve seminare panico e terrore. Boh...epppure mi lavo sistematicamente, deve essere qualcosa nel sapone.



Sono solo due giorni che son tornato ma mi pare di starci da sempre, è da un po' che non vedo Pigiama, anche se lo sbattere di porte e l'odore di cucinato nel cuore della notte mi suggerisce la sua presenza. Ed è proprio con lei che è iniziata la battaglia. Vi spiego meglio che se no sembro pazzo: in principio mi era stato spiegato che qui ogni cosa è privata, non esiste il concetto di fondo cassa o spesa comune.si manco per i detersivi.

Per cui armato di santa pazienza mi sono regolato di conseguenza comprando il mio bel pacco di carta igienica. Nei giorni successivi mi accorsi di due cose che mi fecero riflettere: la prima è quanto siano ridicoli due rotoli di carta nello stesso cesso la seconda è che pigiama consuma quasi un rotolo al giorno. Ora non so ricostruire esattamente gli eventi ma un bel giorno i rotoli diventarono uno: il mio e il suo, il suo ridotto ad uno scheletro di cartone con un misero strappo. Poi iniziò a consumarsi il mio. Quando entrambi furono finiti apparve un altro rotolo dal nulla. Che anche qui si usò in comunità.



Poi sono sceso a Napoli. Nel bagno erano rimasi solo tre rotoli, tutti del mio pacco, non ci badai troppo. Pensavo erroneamente che al mio ritorno anche se fossero finiti avrei trovato il pacco di Pagiama. Che ingenuo!



Al mio ritorno era rimasto solo un rotolo, un dei miei di quelli con quella carta economica che ti viene da chiederti se resisteranno al loro compito. Un rotolo e nulla più. Mo sicuramente è che sono matto io ma la mattina mi capita di notare i fatti più insignificanti, ad esempio il suo tubetto di dentifricio ridotto ad una sogliola da quasi una settimana, il mio dentifricio lì accanto. La domanda serpeggia nella mia testa: che sia una scrocca?



Intendiamoci non ho problemi se mi si dice “ok certe cose potremmo anche comprarle insieme” ma se si è detto ognuno per se è ognuno per se! So uomo di principi io. E così adesso siamo rimasti con un solo rotolo non si intravedono altri pacchi nel bagno. La logica impone che dovrebbe comprarla lei ma il suo dentifricio vuoto da una settimana racconta tutta un altra storia.



Un paio di giorni, poi si vedrà. A costo di arrangiare con lo scottex.



Si, non c'è bisogno che lo chiedete, sono pazzo. Lo so, ma così è più divertente.

martedì 20 marzo 2012

Vuoto pneumatico


Non so di che scrivere



davvero, vuoto, zero, nisba, tabula rasa. Ho il cervello vuoto quasi come il portafoglio. Vuoto come lo spazio siderale tra i pianeti all'ultimo giorno dell'universo. Masse incoerenti di pensieri fluttuano cercando di sbattere l'una contro l'altra per formare un pensiero più grosso e coerente ma il vuoto qui dentro è talmente vasto che due un leghista e un magrebino possono vivere in pace senza mai incontrarsi.



Vorrei scrivere ne ho voglia e anche necessità. Il Grande Piano non si porta aventi a solo e il grand epiano prevede molti più file word zeppi di parole di quelli che ho sul pc al momento. In alcuni rari casi posso scaricare la colpa su altri come ho scaricato un secchio di vergole malassortite sulla mia ultima creazione ma alla fine dei fatti dovrei provare a procedere.



Ci fosse un minimo di senso in questa scatola cranica. Sono tre notti che sogno la più monumentale delle space-opera solo per poi fissare il foglio bianco senza sapere da dove iniziare. Si ok, ho il titolo ho l'idea, parecchie idee per la verità, ma quando provo a sbatterle insieme puntuolamente si mancano nel vuoto cosmico della mia testa. Il titolo e la musica che hanno dato il via a tutto rimbombano nel cervello insieme ad altre frasi sconclusionate ma manco uno straccio di trama.

Frammenti, pezzetti, immagini. Mi viene da invidiare i disegnatori: qualcuno si è già scervellato sulla trama per loro, il loro unico dovere è renderla in immagini. È probabile che anche loro pensino qualcosa di simile tipo: “eh belli fatti sti sceneggiatori! Prima si fanno i trip allucinoggeni e poi vanno trovando che noi ci diamo un senso”



è un mondo difficile, i pezzi non si incastrano mai. È un può come quando provate a riparare il tostapane e, dopo ore di lavoro, vi ritrovate con un pezzo in più. Se abbondi è pretenzioso, se sei troppo minimalista è vago. Non va mai bene.



Ammesso e non concesso che abbia idea di cosa stai facendo. Stai lì a butti giù parole in libertà che però, inevitabilmente, perdono la spinta dopo un po' e poi? Poi boh, non so fate voi.



Ma i “boh fate voi” difficilmente servono a qualcosa e ancora più difficilmente producono un risultato e magari dei soldi. Forse c'è da rivalutare un po' le idee riguardo a come vorrei provare a campare con questo lavoro.



Mi sa che non funziona così.



Oppure è solo che ho troppa poca testa da poter dedicare a questa roba stasera. Magari domani.

Buonanotte, sperando che stavolta il sogno non sparisca prima di essere scritto.

lunedì 19 marzo 2012

work in progress

Non sono morto e non ho abbandonato il blog.. è solo che mi si è fuso il cervello e sono alcuni giorni che non mi viene proprio di scrivere nulla.

io ed il mio staf di collaboratori immaginari stiamo procedendo con una terapia rilassante a base di birra rossa e patate fritte.

contiamo di tornare alla carica entro qualche giorno, cirrosi epatica permettendo, magari con qualche post.

a presto

sabato 17 marzo 2012

il mago


un altra puntata era finita. Si tolse il cappello a punta decorato con piume e cocc di bottiglia mentre entrava nel suo camerino. La figura tracagnotta e calva avvolta in quegli abiti sontuosi dallo stile vagamente egizio. Una volta chisa la porta del camerino crollò su una sedia afferrandosi il volto tra le mani piangendo disperatamente.



Anche stavolta non avevano voluto crededergli. Il pubblico rideva fragorosamente mentre lui decantava pomposamente le sue centurie. Anche stavolta nessuno aveva colto il meggaggio delle sue premonizioni.



Quando aveva annunciato che la fine era prossima il pubblico era esploso in un applauso credendo che si riferisse alla fine della puntata dello show domenicale. Lui parlava del mondo, il mondo intero era prossimo al collasso ma loro lo fissavanop ammirati credendo che il suo farneticare facesse parte dello spettacolo.



Come avrebbe voluto che lo fosse! Da quasi due mesi aveva nascosto i tarocchi per evitare di consultarli per errore. Preferiva non avere idea di quello che stava arrivando. Per la prima volta nella sua vità l'ignoranza era la più preziosa delle virtù.

Ancora adesso ogni volta che posava tre monete su un bancone ritrovava il libro dei Ching aperto alla pagina corrispondente. Era terrorizzato, ogni presagio concordava ogni pezzo si fissava in un affeesco terrifincante di morte e istruzione che solo lui riusciva a vedere. Anni di teatro e menzogne l'avevano reso famoso come mago e chiromante ma a tutti era chiara la sua finzione. Ora invece lui era l'unico a sapere la verità. L'unico su sei miliardi d'individui ma era consideranto un giullare, non un mago o un indovino.



E la csa peggiore era che tutte le predizioni concordavano su un unico punto: lui sarebbe rimasto vio fino alla fine.



Un passo dalla vetta



era iniziata per caso come tutte le passioni, aveva continuato a fasi alterne seguendo le infinite correnti della vita. Ogni momento di rabbia o di sconforto accompagnato dalle note distorte della chitarra elettrica o dal sommesso fruscio di spartiti e fogli di carta. La sua ragazza, contro la sua volontà, aveva inviato una scadente registrazione tratta dal suo garage ad una compagnia discografica.



C'era voluto un attimo: le sue canzoni avevano saettato nell'etere passando da pc a pc come una parbola del Cristo. Un Cristo arrabbiato e stanco di esser messo in croce. Le sue note avevano conquistato prima la classifica locale e poi quella nazionale mentre lui ancora suonava alle fiere cittadine.



Presto, fin troppo presto, arrivarono le donne l'alcool e tutto quello che la sua mente immatura credeva forre il rock & roll. Venne itervistato per così tante riviste per così tante volte che quasi dimenticò il perchè di quelle note e di quella musica. Era un sogno che si realizzava ma senza che lui avesse fatto assolutamente nulla per farlo fiorire. Anzi il suo comportamento man mano lo allontanò da tutti quelli che avevano davver creduto nella sua musica amotoriale e fin trppo disillusa. Prima la sua ragazza, che lo sorprese intento a soffocarsi tra le tetre di una fan, poi i suoi amici: esclusi uno ad uno dalla sua vita vagabonbda e sregolata. La famiglia non aveva mai contato un cazzo e così continuò ad essere.



I suoi dischi trasformavano i secondi in dollari mentre i suoi concerti radunavano folle adoranti. Era in quel particolare paradiso in cui gli bastava sbottonare la pata dei pantaloni per trovarsi una sventola attaccata all'uccello.



Poi, all'improvviso com'era arrivata, la sua meteora passò: il mercato andava altrove, verso rapper incazzati e ragazzine sculettanti. Cadde con la stessa velocità della sua salita. Anche se aveva annusato annusato le stelle presto tutto assunse un familiare odore di merda.



Ora era lì in piedi in mezzo al nulla del piccolo parco. Una chiarra ed un amplificatore gli facevano da band. Attaccò le prime note con fatica dopo mesi passati a fingere di suonare.

Poi, quando prese il ritmo dedicò la sua prima canzone, quella da cui era iniziato tutto, alle stelle sopra di lui.

Quelle che per la sua stupidità non era riuscito a toccare ma che comunque lo avevano scottato.


venerdì 16 marzo 2012

il Bacio

A vederli lì Bacco in persona si sarebbe sentito in imbarazzo. Per quasi tre ore l'economico ristorante cinese era stato teatro di canti sboccati e di discorsi pronunciati a voce troppo alta in mezzo a fiumi di vino rosso di infima qualità e ridicolo prezzo. Erano tredici, o forse diciassette, o forse otto ma facevano casino come per settanta. I camerieri cinesi sorretti dalla loro paziente fede facevano fina di nulla mentre i ragazzi continuavano il casino tipico dei compleanni occidentali. Si sarebbero preoccupati solo in seguito, dando si accorsero delle decine di piatti e bicchieri mancanti dalla tavola.



Alcuni ragazzi uscirono fuori al fresco. L'aria notturna era carica di pollini primaverili. Poggiato vicino ad un auto il festeggiato cercava di riprendere il controllo di se dopo troppo vino e troppe canne. Dire che non capiva nulla era riduttivo e fondamentalmente inesatto: il suo cervello era regredito alle funzioni elementari, mangiare, bere e riprodursi. Di cibo e bevande ne aveva avute più che abbastanza.



Qualche passo più in la una delle invitate riprendeva fiato nella stessa maniera. Stanca, euforica e rintronata nel suo abito sucinto che addosso a qualunque altra ragazza l'avrebbe marchiata come la più impudica delle zoccole. Col mondo che le ondeggiva riprese lentamente il controllo di se mentre cercava di capire dove fossero finiti gli altri e soprattutto il festeggiato.



Non c'è bisogno che vi descriva i processi mentali dei due. Anni, se non secoli, di letteratura cinema e detti popolari hanno cercato senza successo di comprendere i processi mentali degli ubriachi senza riuscir a far altro che scalfirne la superficie. Basti dire che i due si ritrovaro una nelle braccia nell'altro mentr un SUV parcheggiato prestava il suo aiuto tenendo in piedi entrambi.



Le parole che vennero dette sono sconosciute al più onnisciente dei narratori perchè incomprensibili ed estranee ad ogni linguaggio. Basti sapere che uno voleva qualcosa che l'atra non aveva intenzione di cedere. Non parlarono davvero, parlare richiede processi complessi e finezze di linguaggio che il vino aveva spazzato via. Ma le parole sbiascicate ed incoerenti si susseguirono per un eternità come una contrattazione sul prezzo tra un ebreo e un genovese.



Lui non lavrebbe mai fatto. La sua natura mite e schiava glie lo avrebbe impedito con ogni fibra del suo essere. Fu Bacco a spingere in avanti la testa di lei e lo stesso Bacco lo fece scattare in avanti stampando le sue labbra su quelle morbide di lei. Entrambi spalancarono gli occhi chi di gioia chi di sorpresa. Si staccarono quasi subito fissandosi negli occhi sorpresi, indecisi sul da farsi.



Poi un altro ubriaco arrivò e poi un altro ancora e all'improvviso le vie del centro storico riuonarono di canti sguaiati prodotti da tredici, o diciotto, gole. Come se non fosse successo nulla.



Nel ristorante due camerieri si guardarono dubbiosi. I rumorosi avventori erano andati via e il silenzo che avevano lasciato era assordante come il casino che avevano fatto fino a qel momento. Uno dei due si interrogò su dove fossero finiti i soldi dle conto. Un altro, dopo un rapido sguardo, si domandò dove fosse finito il piattino su cui aveva portato il conto.

lunedì 12 marzo 2012

fumetti a caso: Supergods


di warren ellis



prima di tutto un paio di premesse: non sempre compro albi a colpo sicuro e quasi sono contento di poter fare una recensione diversa dalla solita sviolinata. In secondo luogo: si, quest'albo parla di “supereroi”. È da un po' che si porta un tema abbastanza interessante, da Watchman più o meno, ovvero la bontà delle intenzioni di un superessere. Meglio ancora un esempio: se domani mattina ti svegli ed hai i poteri di Superman che fai? Ti metti un costume ridicolo e vai a combatter eil crimine o fai quello che ti pare perchè nessuno può fermarti? Io personalmente la seconda.



In questo caso però si parte da dei presupposti leggermente diversi. Facciamo finta che la guerra fredda non sia veramente finita, come in fatti è a mio avviso, ma che semplicemente le nazioni invece di fare a gare a chi ha più bombe atomiche facessero a gara creare il superumano più potente.



Inizia così una storia per molti versi agghiacciante narrata da uno scenziato inglese che ha partecipato al progetto. Fin dalle prime pagine è chiaro che il mondo sta andando a rotoli. Londra è in fiamme e via discorrendo.



Il professore racconta di come sono nati i primi superumani e dell'escalation che è seguita. Il primo è nato per caso da un immagginaro e supersegreto programma spaziale inglese in cui tre astronauti vengono infettato da un fungo alieno e fusi insieme in una enorme colonia antropomofa che per ora ci farà da sfondo.



Il vero problema infatti nasce in India dove dei superscenziati creano Krishna. Un superessere che in pratica è in grado di creare macchine e controllarle, interfacciato con il mondo intero. Krishna ha un unica direttiva: trasformare l'India in un paradiso ed inizia la missione uccidendo migliaia di indiani per risolvere la sovrappopolazione. Ovviamente è il panico prima si lanciano le atomiche, senza successo poi si mettono in campo vari superumani:



abbiamo quello cinese che è ingrado di manipolare la materia organica col pensiero, quello iraniano che può scindere le molecole disintegrando le cose, il russo che è un grosso clone di iron man e quello americano che si limita ad essere un cyborg ultrapotente. Infine c'è un tizio risultato di un progetto supersegreto che in pratica vede ed influenza il tempo



Tutti questi sono pazzi. Ma proprio pazzi. Quello cinese è il risultato di esperimenti su criminali per cui da subito si da alla mattanza, quello Iraniano è completamente privo di empatia, il russo muore dipo 3 pagine e l'americano è convinto che il luogo dove lo tengono è il paradiso e i generali che ogni volta lo prendono e lo mandano in missione siano agenti di dio. Infine il manipolatore del tempo, potendo vedere ogni futuro possibile è già pazzo di suo e cerca di portare gli eventi dove vede meno possibilità, ovvero la sua morte.



La storia si riduce ad una serie di scontri tra Krishna e gli altri superesseri che però sconvolgono sempre di più il mondo. Qui c'è uno dei pregi maggiori del fumetto: è angosciante davvero tanto soprattuto alcuni momenti della parte finale. Quando, nella devastazione generale, la colonia di funghi senziente ricopre praticament eil pianeta moribondo. O quando il super cinese usa le gente come materia prima per combattere.



Alla fine della fiera quando l'Americano e Krishna si incontrano viene tentata per la prima volta la carta del dialogo. Qui si scopre che se si lascia campo libero a Krishna effettivamete sta creando un paradiso terreste. Peccato che gli eventi invece porteranno alla morte di praticamente tutti nell'autoannientamento del manipolatore temporale.



Comq dicevo ci sono dei pregi. Oltre all'angoscia c'è anche un discorso religioso che Ellis vuole fare. Il discorso è anche profondo, del tipo: “perchè noi umani dobbiamo sempre creare degli dei che ci dominino quando sappiamo benissimo che sono la causa del problema?” purtroppo il tutto si perde nelle mazzate e soprattutto in alcuni grossi buchi logici.



Il più grave? Nei romanzi di Asimov la gente si è fatta il problema di cautelarsi dai robot con le Tre Leggi possibile che,mentre creano essere ultrapotenti in laboratorio, a nessuno venga in mente di metterci un protocollo di sicurezza?


domenica 11 marzo 2012

Un passo dalla vetta

Era iniziata per caso come tutte le passioni, aveva continuato a fasi alterne seguendo le infinite correnti della vita. Ogni momento di rabbia o di sconforto accompagnato dalle note distorte della chitarra elettrica o dal sommesso fruscio di spartiti e fogli di carta. La sua ragazza, contro la sua volontà, aveva inviato una scadente registrazione tratta dal suo garage ad una compagnia discografica.



C'era voluto un attimo: le sue canzoni avevano saettato nell'etere passando da pc a pc come una parbola del Cristo. Un Cristo arrabbiato e stanco di esser messo in croce. Le sue note avevano conquistato prima la classifica locale e poi quella nazionale mentre lui ancora suonava alle fiere cittadine.



Presto, fin troppo presto, arrivarono le donne l'alcool e tutto quello che la sua mente immatura credeva forre il rock & roll. Venne itervistato per così tante riviste per così tante volte che quasi dimenticò il perchè di quelle note e di quella musica. Era un sogno che si realizzava ma senza che lui avesse fatto assolutamente nulla per farlo fiorire. Anzi il suo comportamento man mano lo allontanò da tutti quelli che avevano davver creduto nella sua musica amotoriale e fin trppo disillusa. Prima la sua ragazza, che lo sorprese intento a soffocarsi tra le tetre di una fan, poi i suoi amici: esclusi uno ad uno dalla sua vita vagabonbda e sregolata. La famiglia non aveva mai contato un cazzo e così continuò ad essere.



I suoi dischi trasformavano i secondi in dollari mentre i suoi concerti radunavano folle adoranti. Era in quel particolare paradiso in cui gli bastava sbottonare la pata dei pantaloni per trovarsi una sventola attaccata all'uccello.



Poi, all'improvviso com'era arrivata, la sua meteora passò: il mercato andava altrove, verso rapper incazzati e ragazzine sculettanti. Cadde con la stessa velocità della sua salita. Anche se aveva annusato annusato le stelle presto tutto assunse un familiare odore di merda.



Ora era lì in piedi in mezzo al nulla del piccolo parco. Una chiarra ed un amplificatore gli facevano da band. Attaccò le prime note con fatica dopo mesi passati a fingere di suonare.

Poi, quando prese il ritmo dedicò la sua prima canzone, quella da cui era iniziato tutto, alle stelle sopra di lui.

Quelle che per la sua stupidità non era riuscito a toccare ma che comunque lo avevano scottato.

sabato 10 marzo 2012

Un giorno scriverò di voi


sarà che la birra mi rende sentilementale o che in fondo in fondo, sotto strati e strati di cinismo e ironia si nasconda qualcosa di troppo tenero per poter far finta di nulla. Ma voglio dirlo da qualche parte come quella gente che fa promette la luna assicurandosi di avere dei testimoni che poi gli rinfaccino di aver mancato il solenne giurmento.



Sarà che credo fermamente che la realtà superi di parecchie lunghezze la fantasia per forze poesia e che certe volte non c'è finzione che tenga davanti a qualcosa di reale e nobile.

Un giorno molto lontano, qundo potrò permettermi di scrivere quello che voglio prometto solennemente che racconterò di voi. Non è una promessa vana, sotto a tutta la scaramanzia di questo mondo so che questa potrebbe essere l'unica promessa che davvero potrei mantenere.



Racconterò della ragazza perfetta. Di una persona così carica di insicurezze e paranoie da dimenticare quello che è.

Parlerò di chi fatica a trovare il proprio posto al mondo mentre si è intenti ad ammantarsi di finte certezze nascondendo i suoi veri pregi.

Mostrerò una donna che a voluto tutto per se per paura di restare sola ricevedo in cambio solo disprezzo velato di cortesia.

E vi parlerò di una donna che, vessata dalla sfortuna, ha deciso di infischiarsene pur di portare in giro i suoi buoni consigli.

Vi mostrerò un ragazzo talmente insicuro da nascondersi dietro le buge più improbabili mentre cerca di sembrare più di quel che è.

Mentre, in tut'altro luogo c'è un altra ragazza che si atteggia a vecchia sminuendo il suo valore. Anche se vale tanto oro quanto pesa e quasi il triplo se consideri la sua cultura.

Altrove un gruppo di persone si riuniscono intorno ad un uomo sedendo su cuscini in una stanza afosa condividendo le proprie disgrazie per spingersi in avanti un passo alla volta.

In mezzo a tutta questa gente un ragazzo venuto su solo si tiene impiedi solo con la fiducia in se stesso certo di non avere nient'altro alle spalle.





Vi parlerò di loro e di altri ancora. Degli sconfitti, dei perdenti e degli sfaticati che non chiedono altro dalla vita di trascorrere senza intoppi fino ad una morte quieta. Vi parlerò di quelli che invece, senza volerlo e senza saperlo, si scagliano contro il destino avverso delle loro condizioni decisi a ribaltare il tavolo e buttare a terra le fishes nell'istante esatto in cui la partita volga a loro sfavore. Nessuno di loro è una bugia. Sono tutti lì da qualche parte nella mia memoria, come stelle e pianeti. Alcuni brillano per un attimo altri sono piccoli decisi a non diventare buchi neri. Sono tutti importanti ed ad ognuno di loro devo qualcosa. Perchè senza di loro non sarei dove sono anche se ora non sono da nessuna parte, non posso far nulla per loro perchè non ho nulla da dargli tranne che una promessa.



Racconterò di voi. Di come vi siete battuti, di come avete perso ed avete rialzato la testa. Di come siete morti in un letto o in un incidente stradale. Racconterò le vostre menzogne e i vostri sogni perchè credo che sia l'unica maniera che ho per rendervi davvero onore.



Infondo io non ho nulla. Nessuna delle vostre doti se non quella del cantastorie. Voi sapete vivere, io so raccontare. E così mi sembra giusto che un giorno io parli di voi.



Ve lo devo. Dopotutto non avrei mai iniziato a camminare senza di voi

giovedì 8 marzo 2012

CENSORED

a causa di alcuni sconvolgenti e sensazionali articoli che stavo preparando lo stato, padrone e tiranno. mi ha staccato internet.

Amnesty, Emergency. Greenpeace il WWf ed altri movimenti umanitati si stanno al momento battendo contro la censura.

in alto le armi compagni! facciamos entire la nostra voce e in 4-5 giorni torneremo on line

(non ditelo a Beppe Grillo che se no pianta un casino)

ps: prima che ttti i comici comunisti si radunino con santoro vauro e travaglio in un mega show a favore del blog è bene dire che è tutto normale tra qualche giorno dvrebbero rimettermi la linea

a poi

lunedì 5 marzo 2012

Dannato turismo

la verità è che se mi mettete in una stanza vuota sono in grado di perdermi. L'ho confermato una decina di volte e questa è solo l'ennesima riprova. Visto è considerato che passo ore davanti al portatile a scrivere, o a tentare di farlo, ogni tanto decido di scendere a fare due passi nella vana speranza che così sorgano idee o magari scendano chili. La pima funziona più o meno bene.

La seconda non è verificabile.



Di solito la strada è sempre la stessa: scendo da casa e mi avvio verso San Giovanni. Contemplo un po' il paesaggio e poi ritorno indietro contento soddisfatto e con i piedi doloranti verso casa. Ovviamente a fare questo tragitto ogni santo giorno ci si annoia e così ho iniziato con piccole varianti: prima una timida esplorazione delle traverse di Re di Roma ma presto non è bastato più.



Forte di un abbonamento ho deciso di addentrarmi nell'esplorazione di quella parte di città che mi permetteva di raggiungere la metro. Sono sempre stato affascinato da alcuni edifici particolari di Roma: piazza san Pietro e castel Sant'angelo. E così mentre viaggiavo in metropolitana la scritta “ottaviano” con il sottotitolo “musei vaticani” mi ha fatto decidere. La sera prima avevo controllato il percorso su google maps. La mattina dopo ero per strada deciso a raggiungere il castello e poi la piazza.



Peccato che come dicevo il mio senso dell'orientamento sia pietoso. Solo la fiumara di gente che si dirigeva verso il centro della cristianità, e i copiosi cartelli, mi ha permesso di raggiungere l'obiettivo. La piazza ha i suo fascino e mi ha anche facilitato alcune considerazioni di ordine squisitamente matafisico e pippaioleggiante. Ma adesso basta. Il vero obiettivo è il castello.



Sicuramente ricorderete come avevo cercato bene informazioni su goolge maps la sera prima ma chiaramente non mi ricordavo un cazzo. Torno indietro e decido di prendere la metro per scendere a “lepanto” la fermata successiva, che a memoria era ad un tiro di schioppo dal castello.



Vi consiglio vivamente di usare maps anche vuoi in questo momento per capire che cazzo di giro mi sono fatto.



Esco dalla metro tutto baldanzoso e già il primo dubbio: andare lungo Via Giulio Cesare verso il Tevere o tagliare per via Marcantonio Colonna. Decido di seguire alcuni turisti con la cartina in mano che procedono sicuri e spediti in via Colonna. Ma all'altezza dell'incrocio con via Cola di Rienzo decido che loro non capiscono un cazzo e svolto verso il Tevere. Ricordi ancestrali di una serata sotto Castel Sant'angelo con Aurora ed Alessandro (quest'ultimo romano de Roma) mi suggeriscono che il castello dovrebbe essere visibile dal Tevere.



Se il fiume fosse dritto. Forse. Come certamente immaginerete non ho trovato il castello. Ho attraversato il primo ponte che che mi capitava a tiro e poi ho deciso: sicuramente il castello è qui da qualche parte, o più su o più giù. Per cui ho incassato le spalle contro il vento che iniziava a salire e mi sono avviato seguendo il corso del fiume determinato ad arrivare a freggene pur di trovare il castello.



All'altezza di ponte Cavur sono sorti altri dubbio: erano le 4 di pomeriggio, iniziava a fare freddo e non si vedeva il castello. Le priorià cambiano: devo tornare a casa prima che mi scoppino le cosce. Mi avvio diritto per diritto in via Tommacelli e solo quando arrivo a via Condotti (dal nome conosciuto ma non chiaramente localizzata) e lì ammetto a me stesso di non avere davvero idea di dove cazzo sono. Le fermate del bus (“segui le fermate” era uno dei preziosi consigli di Manuele) non sono d'aiuto portando tutte in posti sconosciuti. Capisco che da qualche parte più avanti c'è piazza di Spagna ma ci potrebbero volere altre ore e già una volta ho scoperto che quella piazza si sposta per sfuggirmi.



Decido di fare l'unica cosa saggia da fare: tornare indietro e pregare di ribeccare la metro di Lepanto. Riattraverso il ponte di Cavour e tiro diritto cercando un punto di riferimento. Ma sono stanco. Sto camminado dall'una, ho sete, ho fame ed ho la panza di una donna in cinta al settimo mese. Resto affascinato da un edificio, credo il tribiunale, e dalle panchine della piazza antistante (piazza Cavour). Mi arrendo all'inevitabile. Mi siedo e contemplo l'architettura del tribunale mentre valuto se i miei 6 euro bastino a riportarmi a casa in taxi. Poi lo vedo.



In uno spaccato tra gli edifici intravedo la familiare forma bombata del castello. Magari mi sto impressionado ma decido di tentare. Affanculo almeno ci sono arrivato! Arrivo lì festante e gioioso conteplano la struttura e borbottando motti del tipo “chi l'ha dura la vince”. Poi un altra rivelazione:

dal cortile del castello vedo in lontanaza Piazza San Pietro, forse un chilometro scarso.

I turisti sentono distintamente il suono delle mie palle che cadono sul selciato sbigottite.



Bestemmio, una, due, tre volte e mi incammino vero la piazza. Arrivato lì non dedico nemmeno uno sguardo all'architettura. Punto dritto alla metro di Ottaviano da cui sono uscito ormai quattro ore fa. Per fortuna trovo subito il posto in metropolitana. Mi siedo, chiudo gli occhi e attendo la mia fermata.



Neanche una vecchia invalida di guerra e incinta mi faranno alzare.

Mai più mi ripeto.

Ma già penso ad andare a villa borghese.

domenica 4 marzo 2012

ho visto cose


Un altra notte è calata. Non essendo un patito della cucina hoi deciso che della motadella con pan carrè andranno benissimo come cena. Aurora continua a dire che prima o poi mi stuferò di questa roba e mi verrà lo sfizio di cucinare.

Io non credo, o almeno ci vorrà molto tempo e molti chili mancanti prima che abbandoni la mia dieta ad affetti e petti di pollo. Però la cena spartana di oggi ha motivi molto più bassi della mia pigrizia ai fornelli.

Tutto si può riassumere ad un ora fa quando sono rientrato a casa da una camminata esplorativo rilassante. Il siculo dalla sua stanza discute animatamente in inglese. La voce elettronica che gli risponde mi fa pensare a skype. Deve essere un nuovo incarico per il nostro 007. non ci faccio molto caso anche se il dubbio mi assale: che fine ha fatto la francese? Non la vedo da giorni.

È una spia anche lei? Oppure lui l'ha uccisa e spedita a parigi in una valigia? Magari me la sono solo immaginata e considerando la natura del nostro incontro è possibile.

Questioni più pratiche richiedono la mia attenzione ma dalla stanza di Pigiama giunge un suono estraneo per questa casa: un canto. Non il canto melodico della sirenetta e tantomeno rap sicopato.

Se avete visto gli Aristogatti forse e dico forse potreste aver idea di cosa intendo: gorgheggi, prove di canto, una strofa e poi silenzio.



Scappo in bagno prima di ridere come un ossesso. Opto per un tost così da dover restare in cucina il meno possibile. Quando dopo quasi un ora esco per rifornirmi d'acqua dalla porta di pigiana arriva una voce squillante che declama battute di quella che potrebbe essere un opera teatrale per ragazzi.

O un principio di schizzofrenia



“stai molto attento” mi ripeto in testa mentre mi aggiro per la cucina cercando di fare meno rumore possibile. Non saprei gestire questa situazione seriamente. Per l'amor di Dio, non ho nulla contro gli attori ma è tutta la scena che mi fa ridere.



Più tardi Francesca, che evidentemente ama farsi gli altrui fatti, esce in cucina insieme a Pigiama. Molte cose diventano chiare e in seguito esco anche io per lavare il piatto. Pigiama è una studentessa. Su questo non mi hanno mentito. Ma una studentessa di teatro che sta preparando uno spettacolo per “non ho capito chi” al “non ho capito dove”.



Nel frattempo Francesca continua a svuotare la sua stanza. A giudicare dalle buste dell'immondizia che si accumulano ha collezionato una quantità di chincaglieria davvero notevole. E pensare che doveva già essere andata via. A giudicare dagli sguardi a volte simpatici a volte indagatori che mi riserva potrebe essere qualunque cosa: schizzofrenia, punizione er aver infrant inconsapevolmente una delle regole misteriose di qui o anche solo aver letto questo blog per caso.



Quando mi vado a lavare i denti nella cucina buia la grossa massa bianca di un materasso poggiato al muro mi coglie di sorpresa. Evidentemente Francesca vuole davvero svuotare la stanza.



Faccio spallucce e vado oltre.



Nella notte mentre leggo sento dei tonfi che si propagano dl pavimento. Una cadenza ritmica. Il suono è come quello dell'inuilina al piano di sopra che cammina scalza battendo i talloni sul pavimento come una marcia.



Esco dalla stanza. Il buio è infranto solo dalla luce che esce dalla porta mezza aperta di Pigiama. I tonfi vengono da lì. Una voce che borbotta qualcosa: numeri credo.

So che non dovrei farlo, ma sotto utto questo cinismo sono un bambinone curioso. Allargo il giro verso il bagno quel tanto che basta per sbirciare dalla porta senza essere visto.

L'immagine successiva me la porterò dietro per tutta la vita.



Vedo pigiama che volteggia avvolta in una tutina attillata nera stile Eva Kant i capelli legati a tutto e faccia solenne e concentrata. Il piede nudo manca di pochi millimetri lo spigolo del comodino consendendole un atterraggio, una piroetta e un altro balzo che la porta fuori vista.



“e uno e due e tre e quattro”


sabato 3 marzo 2012

Funiculì Funiculà


La funicolare di Napoli, la prima, è come un filo interdentale che scende dalla collina del Vomero attraversando i quartieri popolari fino a Piazza del Plebiscito. È un posto strano, prima o poi tutti i bambini vengono presi dalla muta apprensione mentre si avvicina l'altro vagone dal basso, chiudono gli occhi aspettando l'impatto che non arriverà mai.


In questa folla anonima ed altalenante che sale e scende tra le due principali zone dello shopping il ragazzo risaltava per la sua popolare eleganza: indossava giacca e pantaloni classici, al posto della camicia una maglia nera come i peli di barba spruzzati sul suo mento. Aveva i capelli rasati, occhi scuri sotto due folte sopracciglia emanavano determinazione e amarezza in parti uguali. È inutile soffermarci sull sue disgrazie, perchè in fondo non interessano a nessuno. Basti sapere che non erano nulla di speciale. Storie come la sua si sentivano ogni giorno ai telegiornali. E, diciamocelo, avevano anche stufato un po'.

Tutte le sue qualità potevano riassumersi nel violino che stringeva nella mano destra. Le dita callose stringevano lo strumento come un contadino stringeva il collo della gallina da cui si aspetta il brodo buono. La gente ogni tanto lo guardava di sottecchi commentando qualcosa. Non ci badò. Da tempo le sue orecchie avevano imparato ad ignorare i commenti. Sicuramente era poco dignitoso. Ma la dignità non lo faceva mangiare, l'elemosina di quella mandria si.


Le porte del vagone obliquo si aprirono e lui entrò insieme a tutta l'indifferenza della folla. Si piazzò a gambe larghe nel centro del vagone. Il violino gia posizionato nell'incavo della spalla. Gli occhi sulla mappa delle fermate sopra la porta che si stava chiudendo.


Otto minuti. Era la corsa diretta. Per otto minuti avrebbe avuto tutto per se il pubblico più difficile che possa capitare: fidanzati, massaie, uomini d'affari stanchi dopo una giornata di lavoro.


Equilibrò il primo scossone del vagone in partenza mentre l'archetto sfiorava per la prima volta lo strumento. Chiuse gli occhi scendendo lentamente nel suo personalissimo mondo fatto di note e movimenti rapidi e serrati. Il rollio del vagone era fin troppo simile ad una nave tra le onde. La sua musica iniziò a cavalcarle.

Non sentì i discorsi intorno a se attenuarsi man mano. In quegli otto minuti c'erano solo lui ed il suo orgoglio, la sua rabbia le sue note, quelle che aveva composto nel tinello di casa sua. Il suo orgoglio era come una mollica di pane buttata ai pesci, la sua musica si allargava come i cerchi sull'acqua facendo voltare visi indifferenti fino ad un attimo fa.


La melodia salì esponenzialmente in un susseguirsi sempre più furioso di note, immobile come una statua continuò a suonare cieco e sordo a tutto quello che c'era intorno.


Il treno iniziò a rallentare, la melodia calò repentinamente com'era salita raccontando una vita di alti e bassi mai pareggiati. Mentre il treno si fermò lui aprì gli occhi, il braccio col violino gli ricadde lungo il fianco. Portò una mano davanti a se. Non stava chiedendo l'elemosina, il suo era lo sguardo di un artista che vuol esser pagato dopo un concerto.

E così lo interpretarono in molti separandosi dai loro prezziosi spiccioli mentre defluivano verso le uscite.

Un uomo sulla cinquantina con cappello ed impermeabile si avvicinò porgendogli un cartoncino rigido. Sorrideva con denti ingialliti dal sigaro spento che teneva tra le labbra, i capelli grigi simili a nubi di temporale.


“chiamami.” disse e andò via.


Le porte si chiusero, il vagone iniziò la sua lenta discesa verso il centro storico. Dimenticò di suonare ancora mentre fissava quel biglietto: il nome non gli diceva nulla ma poco sotto, un rigo prima del numero di telefono poche parole gli spiegarono tutto: “direttore artistico del Real teatro San carlo.

Forse era uno scherzo crudele, forse era un matto. Avrebbe fatto meglio a buttare via quel biglietto.

E se fosse stata la verità?

Aveva Otto minuti per decidere




Relativamente Reattivo


E' la vita che aiuta a sognare o sono i sogni che aiutano a vivere? Chiederebbe qualcuno pagato molto al di sopra della sua intelligenza. Io resterei impantanato dal fascino della domanda priva di ogni senso. Resterei lì immobile nella bonaccia delle infinite possibilità di risposta.

I sogni aiutano a vivere? Si, credo di si a meno che non lo fai ad occhi aperti mentre sei sulle strisce. In quel caso tendono a dare dell complicazioni. A volte la gente insegue un sogno ma, stranamente, più ci corre dietro più ingrassa. Mi viene in mente il parco di fronte casa su cui si sovrappone lo schermo del mio portatile.

C'è un fascino tutto speciele: il mondo fuori e tu perso nel tentativo di dar forma ai mondi nel tuo cervello. Ma la realtà a volte li batte sempre. Certe volte, nell'irrequietezza del sonno, quasi ci precipiti dentro mentre il tuo subconscio cerca di risolvere i dilemmi che non hai sbrigliato da sveglio: come pensano? Come parlano? Cosa fanno?

Quando l'ennesimo sonno delirante inizia sei come Alice nella tana del bianconiglio. Ma tu, persona pratica e disillusa, rimpiangi l'assenza di un M16. Hai sempre avuto paura del tuo subconscio e quando il teatrino notturno ricomincia rimpiangi di non aver continuato a fissare qualla riga del libro dove il tuo sguardo assonnato si incastra ogni volta.

Sogni demoni intenti in un rave party in casa tua, hai paura, sei schifato. Non perchè sono tra le mura della tua casa ancestrale intenti a bere, vomitare e sparare oscenità. Hai paura perchè nessuno di loro ti ha avvertito della festa.


Ti svegli sudato. Sono le due e mezza di notte. Scuoti un po' la testa come rappresaglia ll'inconscio e torni a dormire.


Questa volta stai picchiando a mani nude un orda di ninja in perizoma con le facce uguali a quelle del teatro giapponese. Il sangue schizza da tutte le parti, a litri, a fiumi. Scie di sangue lunghe come la Salerno-Reggio Calabria. Gli avversari non finiscono mai. Ne afferri uno per le caviglie ed inizi ad usarlo come un bastone per sfracellare crani e ossa.



Sei un altra volta sveglio. In una posizione che sfida la gravità a tirarti per terra. In quei primi secondi di totale rincoglionimento quasi ti senti in colpa. Ti giri e ti rigiri come la punta di un trapano mentre il tuo subconscio si accende come una radio su una playlist di vecchie canzoni. Sarebbe anche piacevole se non si bloccasse ogni tanto per chiederti come continua la canzone. Sono le quattro e pochi minuti. Pochi come il resto della spesa che hai fatto.

Quasi bestemmi ad alta voce. Domani devi svegliarti presto, è una mattinanata importante.

Queste cose non succedono mai quando puoi dormire fino alle sette di sera. Un angelo grato per non avergli fatto esplodere le orecchie ti suggerisce la posizione giusta. Funziona, senti la coscienza che lentamente cola via come nebbia umida. Umide gocce di rugiada iniziano a condensarsi sul tuo cervello. Lentamente cadono tra i neuroni come sudore dalla fronte di uno sportivo. In pochi attimi è pioggia e tu sai che devi alzarti a far pipì.

Sono le cinque e un quarto, la sveglia è alle otto. Hai quasi tre ore davanti. Forse ce la fai.

Per la terza volta precipiti ma stavolta non hai davvero idea di cosa succede immaggini sparse, non sempre piacevoli, che si accalcano sicure di essere dimenticate al risveglio.

Quando suona la sveglia capisci cosa provò Lazzaro quando Gesù decise di usarlo come testimonial del regno dei cieli. La tua ansia e il tuo senso della puntualità armati di manganelli si adoperano per scacciare strati e strati di paranoia lasciati dal sonno. Non capisci niente per dieci minuti buoni mentre valuti se sia il caso di rimettersi a dormire e chi se è visto se è visto.

L'intestino ti viene in soccorso pretendendo attenzioni e risoluzioni riguardo al sovraffollamento.


Scatti in piedi, barcolli, ma a costo di addormentarsi in metropolitana andrai dove devi andare. Anche se poi non capirai nulla per tutta la mattina, anche le cose che suonano positive.

No, questi sogni non aiutano a vivere.

venerdì 2 marzo 2012

pensavi davvero...

Certe volte mi piglia a male. Come quando ti fai una canna e nel rincoglionimento generale non capisci gli altri cosa stanno dicendo, ma sai che ce l'hanno con te. Ti piglia a male come quando piove e perdi l'autobus e solo quando sei arrivato a piedi a casa te lo vedi sfilare davanti.

Certe volte arriva come una fucilata, improvvisa e violenta. Senza nulla da nascondere, come quella coppia di innomorati che si abbraccia sotto il tuo palazzo mentre tu hai quasi dimenticato a cosa servono certi pezzi di cuore. Oppure si intrufola furtiva come il marito che torna a casa in cerca dell'amante. Sale lentamente, un piccola marea di stizza e fastidio che un attimo fa non c'era e che ora ha preso il possesso di tutto il sistema nervoso.



Ti fa incazzare, come un rigore sbagliato al novantesimo. Non si sa il perchè sia arrivata, figuriamoci quando si toglierà dai coglioni.



È come quando ti portano in uno di quei bar fighetti pieni di drink pretenziosi bevuti da studenti di filosofia negli intervalli tra i loro discorsi pretenziosi. E tu, in cerca di un onesta birra, sborsi otto sacchi mentre ti domandi perchè non ti sei ucciso di seghe a casa invece di venire lì.

È come soppesare l'idea di tornarsene a casa solo per ricordarsi che stai senza macchina e ricordi a stento il nome del tizio che ti darà un passaggio a casa, solo per poi lasciarti a due km da casa tua perchè entrare nei vicoli è complicato.



Una vocina il fondo al cervello ti prova a tirar su con le voci dei tuoi amici che ripetono le solite frasi fatte per ogni disgrazia ma al momento non hai intenzione di starla a sentire. Una parte masochista di te vuoi immergersi in quella sensazione come l'ubriacone che potresti diventare, sguazza nella birra e poi nel suo stesso piscio.



Sei una persona pacifica, ti ripeti, ma mentre macini km nella notte preghi con tutto il cuore di incontrare “quello che se lo merita” per sbatterlo con la testa in una saracinesca finchè non ne esce il cervello tirandosi via anche il tuo malumore. Non lo incontri mai. Forse è una grazia di un cielo che sa sempre quanto tirar la corda senza romperla.



Torni a casa. Quello che ci vuole è una doccia e una notte di sonno. Non fai in tempo a formulare quasto pensiero che dalla porta arrivano voci sconosciute: ospiti. Potrebbero anche essere persone simpatiche, magari interessanti. Ci sono delle ragazze. Ma ora come ora non ti senti parte del genere umano.

Ti chiudi in camera, picchi le dita sulla tastiera. È l'unico modo che conosci, pigli pezzi di frustrazione e li pesti sulle pagine. A fatica. Sei uno schiavo condannato alle miniere che colpisce la roccia come se fosse la causa di ogni suo male. Le pepite che trovi sono guardate con indifferenza. È la roccia il nemico.



Sicuramente c'è gente che sta peggio di me: ansie vere, paure concrete ed incombenti. Mal comune e grosso guaio. Mentre chitarre elettriche di gruppi sconosciuti ti stridono nelle orecchie pensi all'obiettivo: il modo più originale per fare la fame.

Suona così vera adesso.



In fondo però: Elvis è morto in una pozza del suo vomito, Kurt Cobain ed Hemingway si sono sparati in bocca, Lovercraft era pazzo.



Tu credevi davvero di usirne indenne?