venerdì 29 marzo 2013

San Patrick day (Budapest 4)


Le sirene d'emergenza latrano in tutto l'aereo. Un hostess è aggrappata ad una poltroncina mentre cerca di tenere chiuso il portello d'uscita a metà corridoio, somiglia ad Aurora. L'aereo traballa, se uno avesse il coraggio di guardar fuori sui finestrini incrinati vedrebbe le ali che si flettono sotto la potenza del vento.
Alessandro afferra i braccioli con forza tale da sbiancarsi le dita. Fissa un punto imprecisato davanti a sé e finge di non sentire le grida di terrore tutte intorno a lui.
Un altro scossone. Una placca di metallo schizza via dal soffitto quasi decapitando il passeggero alle sue spalle. Dall'altoparlante escono suoni: qualcuno che da istruzioni con una voce ai limiti del panico.
-BIP!- -BIP!- le luci di emergenza si accendono e si spengono dagli appositi scompartimenti cadono le mascherine dell'ossigeno. Ale ci mette un po' a decidersi poi afferra con una mano l'arnese che gli penzola davanti. Il motore dell'aereo romba con un suono lancinante più simile ad una bestia moribonda che ad una macchina”ipersicura”.
L'aereo si inclina, i passeggeri possono percepire la velocità della discesa. Troppa. Un hostess viene sbalzata verso la coda dell'aereo. Grida ma Alessandro non sente nulla se non il basso rombo del motore.
BRRRROOOOUUUMMM!!!!!!
Alessandro scatta a sedere sudato fradicio sul letto nella penombra della sera. Un sogno, era solo un sogno.
-Scusate.-
-Ma li mortacci tua e del culo tuo!-
-Deve essere la zuppa d'aglio.- imbarazzo. Alessandro si alza e va a fare il caffè borbottando qualcosa.
Sono le 8 di sera. Fuori già si sentono i primi latrati degli inglesi ubriachi. Ci siamo.
Aurora si sta preparando.
Sara dorme.
Io ed Alessandro guardiamo Men in black in ungherese fingendo di capire le battute.
Verso le nove decidiamo di scendere. Dieci minuti prima chiamiamo Sara punzecchiandola con una lancia, lei scatta in piedi e butta giù il caffè e dice “sono pronta!”
O finge benissimo o è un alieno.
Secondo noi finge.

Usciamo un rapido giro del palazzo e ci ritroviamo in una strada che straborda di locali: pub, ristoranti, altri pub, birrerie e posti dove si balla ma che non sono discoteche. Puntiamo diritti verso il Menza indicatoci di Isabell (al secolo Noemi). Pare che sia un ottimo ristorante dove si mangia bene e si spende poco ma quando arriviamo lì non siamo preparati a quello che ci troviamo davanti: il ristorante del primo appuntamento. Tutto è molto moderno, molto cool molto yeah. La gente è vestita bene, ci sono coppie qua e là intente nell'antico duello del “dammela/non l'avrai” e via discorrendo. Noi nello specifico sembriamo due oranghi portati a spasso da gente civilizzata: Aurora è completamente preparata, Sara anche se la gioca bene se non fosse per le vecchie scarpe a da ginnastica. Io ed Alessandro, invece, sembriamo quello che siamo: due tizi con la barba sfatta ed i felponi.
La cena procede in fretta: vino, birra, carne e varie ordinazioni più o meno a casaccio per cercare di beccare dei piatti tipici ma grosso modo commestibili. Isabell (anagraficamente conosciuta come Noemi) aveva ragione, si mangia bene e si spende poco. Usciamo ci incamminiamo veso il pub dove si è deciso di festeggiare. Facciamo due false partenze passeggiando in strade a caso per digerire poi, finalmente, siamo sulla strada giusta.

Mi aspetto di girare l'angolo e trovarmi faccia a faccia con Han Solo catturato da Jabba.
Queste statue inquietanti sono un po' ovunque.

Stiamo passeggiando, da pochi passi abbiamo superato a via principale e stiamo tornando verso la strada dei locali all'improvviso risate, urla, parole in inglese. Un tizio vestito da marinaretto sbuca dal nulla correndo, si butta a terra e attacca a fare flessioni

si sul marciapiede a -5

Aurora e Sara approfittano per una foto. Lui è grosso modo ubriaco ma coglie le sfumature della cosa. Dice qualcosa per fare il brillante ma non si capisce, sonda il terreno poi arrivano gli amici. Tutti travestiti a tema aereonautica inglese. Una tipa passa davanti a noi guarda Alessandro, sorride si solleva la gonna e fa delle movenze abbastanza eloquenti.
Lui non si accorge di nulla finché Aurora non glielo fa notare. Un po' guaisce.
Gli inglesi spariscono in lontananza noi ci dirigiamo all'Istant, un pub in rovina ovvero un edificio fatiscente ricostruito e ammodernato con elementi apparentemente a caso dove si beve, si balla e si fanno cosa da centro sociale.
A me sembra di essere finito in una scena dell'Esercito delle 12 scimmie. Giriamo e facciamo più foto che al museo scopriamo che ci sono tre piani di questo posto ognuno con una sala da ballo, un bancone e una sala da chiacchiere.

Fratelli di barba.
Un inglese scopre che la sua anima gemella è immortalata su un mura


Di solito Alessandro non beve ma questa volta i conosci volanti sono reali non solo nella sua testa


Beviamo un po', giochiamo a biliardino perculiamo e ci facciamo perculare da vari inglesi poi scendiamo nella sala sotterranea a ballare (si, ballare) ognuno di noi si esibisce nel suo stile di danza preferito (nel mio caso l'Epilettic dance) il DJ è uno forte con almeno venti minuti di esperienza nel campo della musica. Ad ogni cambio di canzone ci sono 30 secondi di silenzio dove gli occupanti della sala continuano a ballare seguendo le tipiche oscillazioni degli ubriachi che ballano.

Stacco.
Sono faccia in giù nel letto steso a quattro di bastoni. Aurora e Alessandro chiacchierano nell'altra stanza. Sara è stesa nel letto nella posa di chi sta cercando di tersi il cervello dentro la testa. Ogni tanto Aurora ed Ale ci chiedono qualcosa a turno uno di noi produce un verso che può significare “dormire! No rompere cazzo!”
Inutilmente.
In poco più di un ora è black out.
Mi sveglio per pochi minuti nel cuore della notte: la casa scricchiola la stufa ruggisce facendo dei rumori poco rassicuranti. Magari sta per saltare in aria. Altri scricchiolii, non lo voglio sapere e non mi interessa, tiro su le coperte, accumulo calore e torno nel buio.

martedì 26 marzo 2013

los burrito della muerte (Budapest 3)



piccoli frammenti a cavallo tra il 16 e il 17 di marzo
Torniamo indietro. Siamo a casa, di sabato, cercando di riprenderci e decidendo sul da farsi. Si è appena arrivati alla conclusione che il Cinetrip è una roba troppo impegnativa e si è deciso per una più tranquilla serata termale standard.
 Non ricordo come è nata la cosa ma ognuno ha iniziato a farsi i conti suoi soldi rimasti perché per tutti la spesa percepita della giornata è abnorme. Tipo Alessandro, conti alla mano, sostiene che se ne siano andati circa 60 euro. Non sapremo mai se i conti sono esatti o no ma fatto sta che io Aurora ed Alessandro notiamo una terribile penuria di fiorini all'interno dei nostri portafogli.
E non abbiamo idea di come essi siano spariti.
Sara, dalla sua, continua a dire che lei ha ancora un sacco di soldi cosa che la rende sospettata di furto o almeno di far cresta nelle divisioni (ovviamente per scherzo). A me sono rimasti 15000 fiorini: parenti stretti a 50 euro. Davvero, davvero troppo poco. È una mezza catastrofe perché a questo ritmo rimarremo tutti senza un soldo entro uno o due giorni. Si decide per una soluzione radicale (applicata poi solo quella sera).
Austerity modello Merkel.
Basta magiare in ristoranti tipici e cazzi vari: fast food! Ecco cosa ci vuole. Quello e magari un bancomat per rimpolpare le finanze (a danno dei soldi dell'affitto, ma questa è un altra storia).
Scendiamo in strada diretti alle terme decidendo prima di ingozzarsi qualcosa a volo. Secondo il principio del “per me è uguale” che affligge ogni tipo di decisione di gruppo da secoli finiamo dentro un fast food produttore di burriti.
Sara va al banco, indica interagisce e parla in inglese procurandosi il cibo come una vera cittadina del mondo. Io Alessandro e Aurora (ancora intenti a osservare il banco dubbiosi) ci troviamo a far la nostra ordinazione con una ragazza che parla inglese fluente. È importante sapere che: Aurora capisce l'inglese ma si vergogna a parlarlo, io lo capisco ma ho una pronuncia oscena ed Alessandro sta a zero.
-Can i Help you?- fa la tipa. Noi ci guardiamo spauriti. Dalle retrovie Aurora indica una figura 
-Burrito.- io ed Ale annuiamo con vigore.
-three burrito?-
-yes- Annuiamo ancora.
La tipa prende tre piadine le dispone sul banco e poi chiede qualcosa indicando le varie vaschette con ingredienti non meglio identificati. Credo voglia dire “come li volete?” Stavolta indicare non sembra servire a nulla, lei non capisce o non vuol capire (o ci sta perculando).
-make a classic burrito.- dico ma evidentemente il prodotto finale suona malissimo. Lei ci fissa interdetta. Forse le ho detto “ti uccido il cane” in una lingua ignota.. Alessandro riconosce il pollo e riesce a farlo inserire negli ingredienti. Ci mettiamo un po' ma alla fine nasce qualcosa di vagamente commestibile. Senza alcune richiesta ufficiale la tipa aggiunge generose cucchiaiate di salsa piccante e consegna sorridente.
È il primo burrito che mangio nella mia vita per cui non posso dare giudizi facendo paragoni. Sara continua a giurare che “non era poi così brutto” ma Sara si farebbe tagliare entrambe le braccia pur di non ammettere un errore di valutazione. Il parere grosso modo unanime di noi tre ignoranti è che quel burrito rientra nella top three delle cose più orribili mai mangiate.
Una volta finito un Alessandro meditabondo dichiara: -Amò appena torniamo a Roma voglio prendere lezioni di inglese.- per lui è folle non riuscire a interagire a parole.

Domenica 17 marzo
la sveglia di Ale suona ancora alle 5 del mattino. Nessuno si muove. Credo che dopo un po' abbia spenta ma io apro ufficialmente gli occhi alle 9. caffè, sveglia, igiene personale. Aurora e Sara sono persone disel, nel tempo che loro ci mettono ad avviare i motori io ed Ale scendiamo in cerca di un bar dove Alessandro possa omaggiare i suoi dei con il rito della colazione al bar. Ci fermiamo a California Caffè, un simil Starbucks.
-Hello!- sorriso smagliante, moretta, carina.
-Good morning- borbottiamo incerti.
-Can i help you?- dice lei.
Fissiamo il banco con aria scientifica.
-We look.- dico io mentre muovo una mano come a dire “in giro”. Lei sorride, non ha ben capito ma evidentemente siamo un po' comici.
-One coffè- si lancia Alessandro
-What size?- sguardi perplessi. Ale prende coraggio e con due dita fa il gesto di qualcosa di piccolo. Lei capisce: un ristretto.
-And one muffin.-
paghiamo mangiamo e torniamo a casa. Alessandro si sente un eroe dei tempi moderni. Ce l'ha fatta! L'hanno capito. Trionfo.

Torniamo a casa e ci mettiamo poco a scendere. Obbiettivo: museo nazionale e parco municipale. In metropolitana nasce una delle costanti che ci accompagnerà per tutto il viaggio: il biglietto di Sara. Ogni controllore ha la sua particolare interpretazione dell'uso di un biglietto da 72 ore: "lo devi marcare ogni volta", "non lo devi mai marcare", “e perché lo hai marcato?”, “è scaduto” e sia discorrendo. Ogni volta che prendiamo la metro qualcuno fermerà Sara convinto che sia una pericolosa terrorista.
Arriviamo al parco municipale in metro (è sempre quel Piazzale degli Eroi dove siamo stati il giorno prima). Lì le donne subiscono l'antico fascino delle bancarelle. Con la scusa che fa freddo Sara e Aurora comprano da un antico stregone ungherese dei cappelli.
Questi

ci raccomanda di non dargli da mangiare dopo mezzanotte e di non bagnarli. Nella foto non è chiaro ma hanno anche due simpatiche orecchie sulla parte alta.

Ci vuole un po' per uscire dalla zone delle bancarelle e dirigerci al museo. Lì, secondo la legge di Sara dell'Ognuno per sé, ci separiamo perdendo una buona metà del tempo totale della visita al museo a riunirci. Sono quasi le tre bisogna decidere che fare.
Sara vuole andare alle terme Taldeitali che sono proprio belle ecc ecc. io decido di passare per motivi economici: sono venti euri e un po' mi scoccio pure, voglio andare in giro. Aurora anche declina l'offerta: non sono pratico di biologia femminile ma pare che stare tre ore a mollo nell'acqua calda non abbia fatto tutto sto bene al suo problema. Anche Alessandro passa la mano. Sara non demorde e decide di andare da sola.
Ci separiamo all'uscita dal museo: Sara diretta alle terme e noi tre a bighellonare per la città. Tappa da Burger King e poi vagabondaggio su una strada piena di negozi. È difficile fare più di tre passi di fila visto che i suddetti negozi sono distribuiti nel seguente ordine: uno che interessa Aurora, uno che interessa Ale e uno che interessa a me. Perdiamo un po' di tempo, prendiamo dei caffè lunghi modello bibitone e ci dirigiamo a casa.
La luce dentro è accesa, l'inferiata è aperta, la porta non è chiusa a chiave. All'interno Sara è stesa a quattro di bastoni sul letto. Dorme o almeno dormiva.
-Sara e le terme?-
-uuu grunf... sonno, stanca.... dopo.-
la rivedremo verso le otto e mezza nove  quando si riprenderà dal letargo.

sabato 23 marzo 2013

L'ha ucciso! (Budapest 2)


BIIIP
-uh?-
BIIIIP!
Fuori è buio dalla finestra si intravedono ancora le luci dei lampioni.
BIIIP BIIIP BIIIP!!!
Alessandro scatta in piedi, va nell'altra stanza e spegne la sveglia. Sono le 5 di mattina, qualcosa è chiaramente andato storto. Aurora non fa una piega. Sara fa un basso verso che potrebbe significare “ucciderò voi, le vostre madri e tutta la vostra famiglia fino alla settima generazione se non mi fate dormire.”
Alessandro scatta in piedi e in un concerto di scricchiolii  l'accontenta.

8:30 la sveglia suona di nuovo. Questa volta è tutto programmato. Fuori brilla un tenue sole da inverno siberiano. Alle 10 passa Isabell a dirci delle cose, non è carino farsi trovare nel letto.
-Stè? Sono le 8 e mezza.- dice Alessandro senza aprire gli occhi.
-Bravo.- rispondo restando immobile.
-mmm caffè- è Aurora con la stessa voce di uno zombie che mormora “cervelli!”
-uff!- Sara si gira dall'altro lato accoccolandosi nelle coperte facendo bene intendere che il fatto non è il suo.
È una tradizione di tutte le vacanze: visto che di solito sono quello che si alza per primo “naturalmente” mio è l'onore di metter su il caffè per tutti.
Ci mettiamo un po' a riprenderci. Non c'è normale caffè ma solo il “bibitone” (ovvero il Nestacafè lungo) e quello dobbiamo farci bastare. Alle 10 siamo pronti, più o meno, Aurora e Sara stanno dando gli ultimi ritocchi mentre io e Alessandro guardiamo la TV in ungherese con l'aria di chi sta capendo tutto.
Quando arriva Isabell (che in realtà mi hanno fatto notare si chiama Noemi) lei e Sara attaccano un lungo discorso in inglese su vari argomenti. Per quanto ne so Sara potrebbe stare contrattando la nostra vendita. Isabell (detta Noemi) segna a matita dei punti su una cartina, ci guarda e sorride. Anche Sara sorride e io credo di aver afferrato qualche parola: o ci sta indicando i ristoranti buoni o sta dicendo a Sara quali sono i posti più sicuri per disfarsi dei corpi.

Ripartiamo verso le 11 incamminandoci verso il Parco Municipale dove pare ci sia un po' di tutto. Nel progetto iniziale dovevamo andare ad un tipico mercato ungherese ma Isabell (per gli amici Noemi) ci ha consigliato un altro mercato visto che quello è chiuso. Ci mettiamo in marcia decidendo che andare a piedi sarà più piacevole così da vedere la città.
Non nevica, il tempo è buono se non si conta il freddo, ma dai tetti ogni tanto si staccano dei pezzi di neve. Gli indigeni non sembrano farci troppo caso noi decidiamo di imitarli. Percorriamo Andrassy Utca (Utca sta per strada) ad un passo lentissimo mentre Sara e Aurora fotografano praticamente qualunque cosa: palazzi gotici, piazze, edifici dall'aspetto interessante, se stesse e noi.
Alla fine spuntiamo sul Piazzale degli eroi. Non ho ancora messo mano sulle foto per cui dovrete immaginare con me: una piazza circolare ampissima sulla destra un edificio che ricorda un palazzo greco con colonne e tutto il resto (il museo nazionale ungherese) sulla sinistra un altro edificio simile che però non riusciamo ad identificare, al centro due ali di un colonnato in stile simil greco fanno da contorno ad una statua centrale che brulica di statue equestri e appiedate con una colonna centrale. Nel complesso l'aspetto è magnifico. Sara e Aurora fanno una foto, trafficano con la cartina e poi tirano diritto. Alessandro si inalbera:
-Venti minuti a fare il servizio fotografico a quella piazza de merda e mo qui passiamo senza maco dare uno sguardo!- prende la macchinetta mi fa una foto a me sotto le statue equestri degli Unni e poi sparisce per una decina di minuti mentre fotografa ogni cosa concepibile. Aurora e Sara tirano diritte le raggiungiamo sul ponticello che da effettivo accesso al Parco. Hanno una cartina in mano e non hanno paura di usarla e la usano. Un cane di taglia piccola con una pettorina che sostiene una bandierina dell'Ungheria ci sorpassa correndo. Da quel momento del parco, oltre alle bellezze naturali e museali restano due eventi rilevanti.
Ad un chioschetto per placare Alessandro (che dalla mattina si lamenta che non ha potuto compiere il suo rito della colazione mattutina) prendiamo uno snack tipico ungherese: del pane secco e salato dalla forma tondeggiante. Giuro: pane secco.
La seconda è il mercato dove ci aggiriamo come i turisti che siamo in cerca di cose “tipiche” tra bancherelle che vanno dai corni da guerra alle magliette con su scritto “i cuore Budapest”.

Ma un altro evento terribile era alle porte: Aurora ed Alessandro erano andati a fare un secondo giro di bancarelle mentre io e sara con cartina e guida turistica alla mano stavamo pianificando il viaggio nel quartiere ebraico verso il “Ristorante con le tovaglie a quadroni” posto che sia la guida che internet suggerivano come: “un posto molto rustico ma di alta qualità”.
Andiamo alla metro lì Sara si fa un biglietto valido 72 ore noi proviamo a imitarla ma quando Aurora mette i soldi la macchinetta invece del biglietto restituisce i soldi in uno tsunami di monetine (circa 40). non ci diamo per vinti, un signore dietro di noi, italiano pure lui, riesce ad avere l'agognato biglietto poi noi tramite un'efficiente catena di montaggio rimettiamo dentro tutte le monetine e riproviamo.
Niente, di nuovo un mare di spiccioli. Il controllore alla fermata ci guarda ride e interrogato risponde qualcosa in ungherese che suona molto come: “cazzi vostri”. Facciamo il biglietto normale e ci avviamo. Due linee di metropolitana, e un consulto della cartina dopo scopriamo che siamo da un altra parte. Cambio metropolitana, tratto a piedi orientamento con la cartina. Aurora prende il controllo della spedizione e i guida in un sistema di cerchi concentrici intorno al quartiere ebraico nella ricerca del ristorante.
Lo troviamo alla 15 e 25 di questo primo sabato da turisti. È chiuso, come potremmo aspettarci che sia chiuso un ristorante ebraico. Il profumo di un vicino ristorante indiano di guida verso un incrocio lì vicino e da lì al pub dove faremo la nostra prima mangiata economica di cibo budapestiano. Viene scoperta la zuppa d'aglio, una scoperta di cui ci pentiremo solo in seguito.

Finito di mangiare diritti in visita alla zona del parlamento e alla basilica di Santo Stefano. Poco da dire: bei monumenti, un sacco di foto, il lungo Danubio e la sosta da Starbucks quando il freddo inizia a diventare insostenibile.
Torniamo a casa. Il programma della serata prevede il Cinetrip. Per farvi capire: prendete delle terme ungheresi all'aperto, aggiungeteci uno spettacolo di luci o Dio sa che altro e un DJ, mischiate tutto con una discoteca ed ecco il Cinetrip.
Siamo tutti distrutti si decide per il boicottaggio del Cinetrip per vari motivi: Aurora ha dei problemi biologici femminili, io sono quasi sicuro che moriremo tutti di freddo (terme ALL'APERTO! Con fuori -3°C) Alessandro pure sta stanco.

Stacco. Siamo sul Ponte margherita, sono le undici circa di sera tira un vento della madonna ma la cosa non impedisce a Sara e Aurora di fare foto panoramiche coi telefoni. Il ponte è deserto a parte un gruppo di inglesi che ci ha superato (dopo che uno è saltato urlando davanti a Sara per poi correre via). Stiamo andando alle terme. Non so come siamo passati da: “sto troppo stanco stiamoci a casa” a “andiamo alle terme tal dei tali ma senza cinetrip”. Fatto sta che ci siamo.
Potrei dire tante cose sulle terme ma solo una è veramente importante. Questa:

Siamo a mollo nella vasca centrale, l'acqua è calda e si sta da Dio. Da quando siamo entrati tutti ci guardano curiosi come se avessimo la scritta “TURISTA” in fronte a lettere infuocate. Io, Aurora ed Alessandro siamo stesi sui gradini del bordo a goderci il tepore e chiacchierare. Sara è qualche metro più in là, appostata in attesa che si liberi la cascatella dove due ungheresi si sono accampati sotto al getto.
Aurora mi da il gomito indica col mento di fianco a me: un ragazzo è steso pancia sotto nell'acqua bassa quella che presumibilmente è la fidanzata gli massaggia la testa. Il ragazzo ha il viso sott'acqua.
-L'ha ucciso.- dico nella sicurezza che nessuno mi capisca.
Alessandro e Aurora ridono
-Cosa?- chiede Sara un po' più in là. Le faccio segno di avvicinarsi, quando è abbastanza vicina da sentire dico -Vedi questi due qui di fianco? Le lo sta ammazzando. Gli tiene la testa sotto...-
Alessandro scoppia a ridere e si allontana. Non me ne accorgo. Aurora mi tozza di nuovo, ride, indicando qualcosa fuori dal mio campo visivo. Mi giro.
La ragazza di cui sto parlando è girata verso di me, ride anche lei sulle spalle del fidanzato che ora ha tirato fuori la testa dall'acqua.
-Ovviamente italiani vero?- dico. Intanto gli altri tre della mia compagnia stanno affogando dalle risate cercando di allontanarsi.
-Ovviamente si.-
-Scusami.. no, è che...- provo a dire.
-Non ti preoccupare, succede a tutti prima o poi.- continua a ridere. Il ragazzo non ha capito nulla ma ride pure lui perché qualcosa ha intuito.

Un ora e mezza dopo usciamo dall'acqua aspettiamo l'autobus e grazie alle informazioni di un tizio con la faccia da psicopatico ritroviamo il modo di tornare a casa.
Ogni tanto riprendiamo a ridere.

ps: la foto è di repertorio ma le terme sono quelle lì

giovedì 21 marzo 2013

Pagace! Pagace! (Budapest 1)



All'aereoporto si scopre che il biglietto ha necessità di essere rimpinguato con altri soldi. Il nostro bagaglio non è nelle misure standard da “bagaglio a mano” esattamente per 2 cm. Sono 30 trenta polpette a testa. L'unico che se la cava è Alessandro. Quando gli dicono di mettere la valigia nel misuratore Ale spinge con tutte le sue forze con due risultati: la valigia passa come bagaglio gratuito ma si incastra.

Si avanza per i corridoi di Fiumicino in cerca del Gate e di cibo ed è lì che incontriamo i primi personaggi. Sara ha lavorato per qualche anno da Mc Donald cosa che la porta ad aborrire ogni tipo di catena fast food. È una bella cosa, considerando che Fiumicino scoppia di ristoranti. Alla fine si decide per Spizzico. Dopo aver avuto l'onore di pagare un trancio di pizza e delle patatine otto euro sentiamo i discorsi dietro di noi:
immaginatela contata
“PAGACE! PAGACE! PAGACE A' MAIALA! OH, DANIELE PAGACE A' MAILA!”
Aurora sbircia inorridita – italiani all'estero. Ecco ci ci fa fare le figure becere in giro per il mondo- parte un dialogo sui massimi sistemi e sulle mezze stagioni su come tutto il mondo sia più bello e vivibile dell'Italia e concludiamo compatendo chi se li troverà in aereo.

Pista di decollo. Alessandro si sta mangiando le mani dalla paura. L'ultimo suo viaggio aereo (a detta sua) è stata una prova mancata di un film di disastri aereo e quindi ora la vive male. Io cerco di leggere alla fila di fianco. Aurora e Sara cercano di tranquillizzare Alessandro con vari tentativi.
Decolliamo.
Ale bestemmia.
L'aereo si allinea.
Le luci interne si accendono.
-PAGACE! PAGACE! PAGACE A' MAIALA! OH, DANIELE PAGACE A' MAILA!- qualche fila più in là.
Un ora e mezza dopo siamo atterrati e stiamo salendo sul pulmino che ci porterà dentro l'aereoporto. Sara ed io (presente solo in quanto sagoma che non capisce niente) andiamo allo sportello dei taxi prendiamo accordo scopriamo che grosso modo sono 6000 fiorini. Tipo 20 euro.
Il viaggio dura una ventina di minuti di autostrada, poi capannoni e infine palazzi in cui Aurora viene colpita da una sindrome che la prende ad ogni viaggio: “quanto è bello qui. Non come in Italia che...” alla fine il viaggio rivelerà che ha ragione pure ma dirlo nel viaggio in taxi tra i capannoni fa un po' ridere.
Ma vabbé.

Arrivare alla casa è una storia in se: la padrona di casa ci ha lasciato le chiavi in un ostello noi arrivati lì prendiamo le chiavi e andiamo alla casa. Questa era una questione che ci lasciava un po' perplessi ma Isabell (la padrona se ricordo bene) ci sorprende.
Arriviamo all'ostello. Il citofono è incomprensibile ma con alcuni tentativi troviamo l'unica scritta in inglese (un inquietante “HOSTEL” per chi ha visto il film) bussiamo, il tipo ci apre senza fare un piega ma il portone fa un rumore a noi sconosciuto (una specie di BIIIP) appena finisce noi spingiamo e non si apre. Dopo vari tentativi, un attimo prima di ribussare, il tipo dell'ostello scende giù e ci consegna tutto a mano.
E qui Isabell ci stupisce. Nella busta con le chiavi non c'è solo l'indirizzo e il codice del portone. C'è una mappa, disegnata a mano, della strada dove ci troviamo. Sembra la mappa del tesoro fatta a penna blu. Arrivare a casa non ci costa nulla e nelle viuzze laterali troviamo due supermercati aperti a notte fonda, alcuni locali e un portone.
Il nostro.

Qui momento Superquark
parte la musichetta.
I portoni ungheresi non sono a molla elettrica come i nostri. Se un'italiana, come Sara, si avvicina al portone con le chiavi non troverà la serratura. Eh no! C'è il codice, come nelle banche: cinque cifre dopo le quali parte un lungo BIIIP. Lo capiremo solo il giorno successivi che il segnale acustico segna il tempo che hai per spingere il portone prima che si richiuda. Una volta entrati scopriamo che qui non si usano le serrature (almeno nei portoni) c'è una grossa calamita attaccate dietro al portone. Se fai il codice la calamita stacca, se no muori lì.
Fine parentesi Superquark.

La casa è molto carina pavimento in legno, caratteristica, non una baracca e ben arredata. Solo due cose ci fanno accapponare la pelle: il pavimento scricchiola ad ogni passo (per i superstiziosi come noi è un problema nel cuore della notte) e le stufe sono a gas modello “Armata Rossa” da qui il divieto di Isabell di fumare in casa.

Come in ogni parte del mondo io ed Alessandro veniamo spediti in strada a procurare dei beni di prima necessità: acqua e schifezze. Dopo sommarie informazioni su come ritornare e la consegna delle chiavi noi due intrepidi ci aggiriamo per la strada seguendo il piano dei cerchi concentrici ovvero: gira sempre intorno ad un palazzo che prima o poi ritrovi pure casa.
Quando spuntiamo sulla strada dei locali e notiamo i vari capannelli di gente si svolge il seguente dialogo.
-marò ma qua è pieno di rumeni. Stiamoci attenti.- dico io cedendo ai pregiudizio.
-Beh è normale.- mi fa Ale ridacchiando.
-E mica tanto non dovevamo stare in centro?-
-A' Sté siamo nell'est Europa. Mi sa che è normale.-
Andiamo nel minimarket notturno dove ai commessi chiaramente ci odiano a sguardi in quanto turisti che entrano alle 2 di notte. Compriamo, paghiamo, io agito le braccia in gesti da gorilla per avere un busta e ripartiamo.
Per il resto tutto liscio, dormiamo tranquilli.

Ah, dimenticavo: fuori c'è la neve e il termometro del taxi segna -1°C 

venerdì 15 marzo 2013

Verso l'infinito ed oltre


Mancano meno di dieci ore al decollo e tantissime cose non sono ancora andate al loro posto: non ho un metro per prendere le misure della valigia, non ho una bilancia per pesarla e Dio mi fulminasse se so qualcosa di quello che succederà dopo l'atterraggio.
Budapest, la città di cui fino al mese scorso ignoravo l'esistenza. Budaperst! La terra dove hanno deciso che il tedesco è molto più internazionale dell'inglese. Budapest, dove le temperature previste oscillano tra i 2 e i -9 gradi.

Come siamo arrivati fin qui? Troppo lungo da spiegare per cui i faccio il riassunto veloce: Sara, biglietti, cambio programma, Aurora, mio compleanno e via. Alla fine siamo in quattro ognuno con un suo ruolo specifico: Sara sa dove sta la casa e con chi bisogna parlare inoltre millanto conoscenza glottologiche potenzialmente utili; Aurora, in quanto maniaca della precisione, sa tutto quello che c'è da sapere sulla città: spostamenti, luoghi, costi, locali. Se perdiamo lei siamo fottuti. Alessandro invece sarà utile per la comunicazione non verbale, come i gorilla del borneo. Infine ci sono io: la scusa per ubriacarsi.
Si, come motivazione di utilità è un po' scarsa ma tutti i posti migliori già erano stati presi.
Non ho idea di che succederà per ora le due teorie che vanno per la maggiore sono:


l'aereo precipita durante il volo. Dopo un fortunoso atterraggio d'emergenza ci ritroviamo su un isola tropicale (?) a cercare di organizzarci e sopravvivere con la costante minaccia di una massa di fumo nero e l'inquietante presenza degli Altri, gente che sembra abitare l'isola. Passeremo le nostre giornate a fare a gara a chi è più figo facendo intendere ogni tanto di aver capito tutto per poi non averci capito un cazzo.

Oppure

Al primo locale una tizia di un certo fascino mi adesca a emi porta in una strada fuori mano e poi in uno scantinato dove ricchi pazzi sadici pagano la gente per torturare i passanti. Per cui non solo non mi faccio la tipa ma poi mi tagliano pure a pezzi.

Oppure
Si, hanno le terme all'aperto e ci fanno i festini

Appena messo piede sul suolo ungherese inizieremo a bere per cercare di tenerci caldi e i successivi 5 giorni saranno solo un vago e nebuloso ricordo.

Ma diciamo che io mi accontento di poco: mi basta ritornare con tutti i pezzi con cui son partito e di divertirmi. Poi al ritorno molte cose si faranno

mercoledì 13 marzo 2013

Ira di Dio


-Buongiorno vorrei vendere delle carte di magic.- è l'una passata il negozio sulla Tuscolana è deserto se non per una tipa dietro al banco ed un vociare sul retro. Lei mi guarda per un attimo, capisce che non ho intenzione di tirare fuori soldi e toglie il sorriso di cicostanza.
-Sai, di solito noi le vendiamo le carte.- dice.
-Ha. Ha.-
Prima che le risponda male si gira e chiama il titolare. Un tizio sovrappeso con il pizzetto e un espressione che mi ricorda uno degli spacciatori di magic di Lucca.
-Vediamo un po' queste carte.- sfoglia il raccoglitore con aria stufa per rendere ben chiaro che anche solo posare lo sguardo lì sopra è un onore immenso. Traffica un po' con la calcolatrice mentre mi spiega come a lui praticamente le carte gliele tirino appresso per cui i prezzi sono 3-4 volte inferiori a quelli a cui le vende.
Per capirsi: una terra doppia di Ravinica sta sui 20 euro per te fesso che se la compra. Stando alle sue dichiarazioni lui te la valuta si e no 5 euro. Prima di andare qui mi sono messo anche io con la calcolatrice in mano facendo dei conti più o meno onesti sono arrivato alla conclusione che per quello che c'è nel raccoglitore cento euro è un minimo che non si può scendere.
-ti posso dare 60.- dice col tono di chi ti sta già facendo un favore.
-mmm. Guarda facciamo che ci penso e poi magari torno perché mi pare un po' pochino.-
-No ti ringrazio per il pensiero ma non tornare che non ci interessa.-
-vabbè addio allora (morto di fame).-

Altrove, un tram dopo e molta molta acqua. Zona Ottaviano. Di questo tizio mi fido e poi l'ultima volta che sono passato alla domanda “voi comprate anche carte” lui si è illuminato in volto dicendo “ma sicuro! Al dettaglio, all'ingrosso a peso. Come ce le porti così le compriamo.”
-Ciao, senti vorrei vendere delle carte.-
-mmm, fammi dare un occhiata.- studia un po' il raccoglitore.
-Sai di solito noi scambiamo è difficile che compriamo le carte se vuoi possiamo scambiare.-
-No guarda io ho smesso e me ne voglio solo liberare.-
-E' che non ci sta niente di interessante...-
-Lo so che non è il raccoglitore del campione del mondo ma che miseria dai: doppie terre (quelle che si stanno giocando mo), 4 Ire di Dio, ste carte pure si usano in modern. Dico mentre indico varia roba.
-ho capito ma non compriamo carte se vuoi puoi scambiare.-
-Ok grazie comunque.-

Esco, fuori c'è una folla innaturale carabinieri e vigili incanalano la folla verso San Pietro. Mi inbuco pure io che queste occasioni mi piacciono. A metà strada capisco che hanno eletto il nuovo papa. Non ho nulla da fare, sono lì e mi sento un cretino a non approfittarne e dare un occhio.
Piazza San Pietro e colma per tre quarti. Ci si cammina ancora, i lati della piazza sono vuoti ma il flusso costante di curiosi e fedeli promette di riempirla presto. I poliziotti vicino al colonnato sbuffano. Intercetto questa conversazione tra agenti usciti da un film di Totò:
-Possibile mai che proprio al turno mio devono eleggere al papa.-
-Già, guarda che casino.-
-Che poi so belle 'ste guardie svizzere: fanno le parate loro mica si mettono a smistare il traffico.-
-Quelli c'hanno la scusa bona che qua fuori è ancora comune di Roma.-
Passo avanti, intanto passa anche la banda prima delle guardie svizzere e poi dei carabinieri. Nella folla c'è entusiasmo. Qui in mezzo a nessuno gliene frega niente dei preti pedofili, dello IOR, dell'otto per mille e delle ruberie ecclesiastiche. Come tradizione vuole la gente ama aver qualcosa da festeggiare. Per parlar male c'è sempre tempo.
Al telefono Aurora mi informa che su internet è iniziato il “gioco della bestemmia” il modo con cui i vari “atei” fanno sapere quanto sono tolleranti, comprensivi e via dicendo sparando dei “porco qualcosa” che se poi uno si offende è lui che un retrogrado e non tu uno sboccato del cazzo. Ma al momento non ci interessa.
Passano abbondanti tre quarti d'ora ogni tanto dalla folla qualcuno prova a far festa: prima degli “evviva il papa” poi applausi e grida e infine (come estremo tentativo di coinvolgere) l'Inno d'Italia. La folla non si lascia coinvolgere se non a pezzetti: alcuni applaudono, altri gridano, pochi cantano. La maggior parte vorrebbe almeno il pretesto però che a fissare un balcone vuoto ci si sente un po' fessi.
Fisso il balcone ed inizio ad immaginare un fonico che esce per posizionare il microfono e preso dalle ovazioni della folla si sistema la salopetta di Jeans e proclama:
-HABEMUS ELECTRICISTA! Fanno cento euro con fattura!- la folla esplode in delirio.
Mi riscuoto dalle mie fantasticherie quando il balcone si apre e la folla esulta. Questa volta per davvero. Il Cardinal Nonsocomesichiama si piazza sul balcone pronunciando immortali parole:
-Annuntio vobis gaudium magnum:habemus papam Jeorge Mario Bergoglio!- applausi.
Nella piazza si diffonde un brusio. Sento distintamente un “e chi cazz'è?” poco più in là. La gente non ha capito il dubbio serpeggia poi il Cardinal Nonsocomesichiama riprende fiato e aggiunge:
-Qui sibi nomen imposuit: Francesco.- stavolta è un tripudio.
Applausi, grida, manifestazioni di giubilio. Dalle parti dell'obelisco parte un coro da stadio al grido di “Francesco! Francesco!”. Una voce (forse lo stesso di prima) è estasiato “come al capitano!”
il papa avanza sul balcone. Il maxischermo ci rimanda l'immagine di un uomo atterrito dalla folla che ha davanti. Ancora adesso sono convinto che qualcuno l'abbia spinto fuori.
Passano trenta secondi con applausi a singhiozzo e un papa impietrito sul balcone con la stessa espressione che faccio io se la mia ragazza ordina il vino della “cantina speciale”. Poi parla.
Avrà assai da fare questo papa, tutti gli impicci del Vaticano, tutti gli scandali, far ritrovare un briciolo di fede nella chiesa alla gente e una marea di altre cose.
-Santità 4 Ire di Dio V edizione?-
Secondo me gli serviranno.

lunedì 11 marzo 2013

L'ombra dell'idea


Oggi quel motorino d'avviamento dietro al cervello non ha nessun intenzione di accendersi. Dovrebbe essere il primo giorno di un rinnovato stile di vita meditato e ragionato nei giorni precedenti ma, ed è un ma bello grosso, mi pesa il culo.
Ci sono una marea di cose che non mi piacciono della piega che sta prendendo la mia vita dopo lo slancio iniziale dato dal corso e tutto il resto. Capisco che sono cose che in realtà non interessano a nessuno ma non ho i soldi per la terapia e da sempre mettere le cose nero su bianco se non risolve almeno aiuta. Per gli stati depressi su facebook c'è sempre tempo.
Il primo problema è che c'è troppo silenzio nella mia testa, non è un bel periodo per tante piccole cose che insieme diventano un grosso problema. Sono sempre le stesse cose perché sono un amante della “soluzione dello struzzo” (o dello strunz fate voi). Poi piovono in tesa tutti insieme e si fa una fine del cazzo. Tipo questa.
È un circolo vizioso che va avanti da anni: decisione della vita, primi passi entusiastici, primo problema e riturata. Sempre perché al di là delle costruzioni mentali che uno si fa sono un apatico indolente che chiede alla vita di restare sempre uguale a se stessa per potermi lamentare.
Se analizzassi i vari periodi della mia vita secondo gli schemi del “viaggio dell'eroe” io sono quello che si ferma alla prima soglia. Dove gli altri eroi danno il meglio di se mostrando al pubblico di che pasta sono fatti io mi giro e dico “fanculo! Non mi interessa”.
Mentendo.
Ogni volta mi ritrovo davanti al mio personalissimo Guardiano della soglia e decido di non affrontarlo. L'insicurezza, la paura di non riuscire, di fare una figura di merda. Meglio la grigiastra mediocrità di un banco salumi rispetto al rischio di non farcela. In fondo è più comodo stare in tribuna a pontificare su quelli che giocano che mettersi i calzoncini e correre. Più comodo meno rischioso.
Poi ti guardi intorno e vedi che il mondo va avanti e tu non hai nemmeno una buona scusa per rimanere indietro. Qui non c'è uno sceneggiatore che da il via all'avventura, non c'è la “chiamata all'avventura” se non quella che ci si crea da soli. Il mondo ordinario è sempre lo stesso a meno che non si faccia qualcosa per passare dall'altra parte ed iniziare a crescere.
Ho perso un infinità di occasioni per dire basta e ricominciare da capo. C'è questa cosa che però mi scoppia dentro una sensazione che ogni tanto nelle notti insonni diventa una voce come quella di tanti anni fa alla Festa del Raccolto di Officina99. Dice sempre la stessa cosa con quel tono duro che riserviamo solo a noi stessi.
Nei libri che sto piluccando svogliatamente viene chiamata l'Ombra: quella parte del personaggio che viene tenuta repressa a volte malevola altre volte portata al cambiamento. Beh, io alzo le mani e mi arrendo. Fin ora io non ho azzeccato una scopa nella vita.
Ora tocca all'Ombra.

sabato 9 marzo 2013

Eataly: il vecchi è stupido. Noi di più


Eataly è un posto nato dall’idea di un genio. Oscar Farinetti ha posato il suo sguardo ispirato sul mondo e si è accorto che fuori dall’Italia la gente mangia merda e la chiama cibo italiano. Da qui l’idea: un supermercato di prodotti tipici italiani di altissima qualità gestito con italica filosofia e illuminata intelligenza.
La cosa ha funzionato: New York, Londra, Berlino. Soldi a palate. Ma il problema delle menti illuminate è che non sanno quando fermarsi, una mattina come tante Oscar i siede al tavolo e spara l’idea della sua vita:

-Abbiamo spaccato in tutto il mondo, ora tocca all’Italia.- sentenzia.
-Babbo in Italia? Mi sembra un po’ ...  azzardato. Sai qui il cibo italiano si trova già.- ribatte il figlio.
-Balle!-
-Pà dopo il Tuodì  dubito che possiamo essere più concorrenziali qui.-
-Chi ha detto che voglio fare concorrenza al ribasso? Una parola stupido idiota: esclusivo. Se una cosa è esclusiva la gente ci si fionda dentro anche se vende la stessa merda di tutti gli altri posti.-
-Ma pà abbiamo i pacchi di pasta a 4 euro quale fesso viene a buttare i soldi così? Hai sentito parlare di crisi?-
-Sta zitto capra! Oscar ha parlato. Aprite i miei fottuti supermercati.- sbotta il capofamiglia allontanandosi.

Avanti veloce di 6 mesi. A Roma dopo un colloquio abbastanza inquietante mi viene consegnata la divisa da salumiere e vengo affidato alle amorevoli cure del caporeparto:  un contenitore di psicosi  e dogmi aziendali in un corpo di donna.
Il reparto è un piccolo mondo a parte, il resto del personale sembra una selezione per un reality: c’è il leader nato, il leccaculo, la paranoica, la ragazzina saggia, quella che non glie ne batte un cazzo, il tizio etico e la tipa sensibile.

Eataly non è un semplice supermercato, come tutti hanno tenuto a farmi sapere, è una filosofia: qualità ed eccellenza, italianità. Praticamente il sogno di Montezemolo e tutti gli altri idioti di questo calibro. Tutto  ruota intorno a tale concetto l’impianto stereo manda in continuazione 4 artisti: Ligabue, la Pausini, Tiziano Ferro e De Andrè. Misti a monologhi di “grandi imprenditori del settore”. È una cosa bella se sei un cliente, se invece ci lavori tra le 4 e le 8 ore è un incubo.

Per una persona normale lavorare qui dentro è un incubo. La gente crede nell’azienda è convinta è fomentata (o almeno finge di esserlo) non si canta la sigla aziendale solo per decenza. Se legalizzassero le armi come in America non mi stupirebbe se la prima strage insensata si compiesse qui.
 Quando Oscar ha aperto i suoi centri ha deciso di distaccarsi dai metodi vecchi ed obsoleti della vecchia Italia delle raccomandazioni e delle conduzioni familiari. Qui le cose sono organizzate seriamente: un intero piano è dedicato ad addetti del personale executive-sa-il-cazzo e via così. Una serie di  figure professionali inutili che stanno lì solo per decidere come il personale deve rapportarsi con se stesso. Di principio andrebbe pure bene se non fosse che i reparti poi sono piccoli feudi personali.

Io ho visto dall’interno solo il reparto salumi ma quello che ho visto mi fa ipotizzare che non ci siano grosse differenze altrove. Prima di tutto Eataly non crede in quella cosa obsoleta che è la gerarchia. A parte il caporeparto  nessun’altro può dare ordini agli altri. Quindi i dodici addetti al reparto quando vengono a lavorare sono tenuti e incoraggiati ad autogestirsi.
Tanto per fare un esempio a caso: se tutte e sei le persone di turno decidono di stare dietro al laboratorio a preparare la roba nessuno può dire niente perché tutti sono pari grado. Stesso discorso per le competenze: nessuno ha un ruolo specifico tutti fanno “un po’ di tutto in base alla necessità”. Non c’è un coordinamento dall’alto, tu arrivi guardi il negozio e lo Spirito Santo ti appare in testa dicendoti cosa fare.Dando vita a quella cosa bellissima che è la gerarchia del chi arriva prima la mattina. O, come la chiamano questi geni, la competizione positiva tra i dipendenti.

Tanto per dire mentre istituzioni più anacronistiche come l’esercito (che ha solo l’obbiettivo di difendere il paese)credono fermamente nella gerarchia e nella specializzazione dei ruoli. Eataly punta sull’anarchia confidando che lo Spirito Santo colmi le falle. Se il metodo Eataly fosse applicato ai militari dove normalmente avremmo un operatore radio, un soldato semplice, un addetto all’artiglieria e via dicendo avremmo invece un tot di uomini a cui è chiesto di scegliersi il ruolo a seconda dell’occasione operativa e del gusto personale..

Non è un mistero che io odi il Conad dove lavoravo anni fa ma solo ora che faccio il paragone con Eataly mi rendo conto di quanto ero fortunato. Si eravamo in mano alla Vecchia Italia, i metodi erano quelli medioevali. Il mio primo giorno Carmen, la direttrice, mi affiancò a Ilaria e mi dissero: “questo è il reparto dei detersivi. Qui non scade niente quindi non puoi fare danni. Tienilo in ordine, ora ti faccio vedere cosa devi fare.” Nei giorni successivi da lì si è passato agli altri reparti, poi alla cassa, poi ai banchi e infine alla salumeria.
C’era una chiara gerarchia fluida: Carmen era il capo, i suoi parenti i vice e in fondo Ilaria. Tra di noi peones le gerarchie si decidevano  in base al favore di Carmen e dei parenti. Ognuno faceva un po’ di tutto ma era responsabile di uno specifico pezzo di negozio. Se c’era un problema nel tuo reparto erano cazzi tuoi e di nessun altro. L’assenza non era una scusa e amen.

Il primo giorno da Eataly.  Ero teso come è  giusto che sia davanti all’opulenza del posto. Due minuti in spogliatoio ed ero al seguito di Giulia.
-Sono pronto capo, che faccio?- chiedo fingendo entusiasmo.
-Oggi stai dietro a me che ti faccio vedere, non prendere iniziative. Fai quello che ti dico poi quando finisci chiedi a me.- dice con le mani dietro la schiena come un generale.
-Ho un reparto mio, un posto che devo tenere in ordine? Quando stavo alla con...-
-Dimentica quello che hai imparato là. Quelli non sanno lavorare, qui ognuno deve fare tutto ed è responsabile di tutto.-
-Quindi nessuno è responsabile di niente.- borbotto a mezza  voce.
-...- mi fissa –In che senso?-
-beh se succede un guaio come fate a capire di chi è la   colpa?-
-A me non sfugge niente.- dice poi apre la cella frigo – prendi quelle mozzarelle e mettile al banco.
Ancora oggi non ho idea di cosa avrei dovuto realmente fare. Ogni giorno era mio compito sistemare e badare ad una postazione diversa. Non c’era una logica, o almeno nulla che io vessi potuto capire. Ogni iniziativa era scoraggiata. Se finivi un lavoro dovevi chiedere a Giulia, che dopo essersi abbondantemente lamentata, dava nuovi incarichi. GUAI ad aiutare chi che sia durante le frequenti assenze di  Giulia creando così il Comma 22 di Eataly: “non farti mai trovare con le mani in mano ma non osare fare qualcosa senza che un superiore ti abbia detto di farla”  notare che, secondo la politica aziendale non esistono superiori.

racconto in progress


questo è un raccontino che devo proporre per accedere ad un concorso letterario. mi serve un parere, non badate ad eventuali vongole l'ho scritto stanotte preda dell'insonnia ed è da rivedere.
per la cronaca: le prime due righe le hanno decise loro il resto è il mio delirio personale

Il corpo era squassato da una risata isterica e inarrestabile. Non riusciva a smettere guardando la scena che si presentava ai suoi occhi. Non c’era proprio niente da ridere.
-Vendete cara la pelle!- Matt immaginava fosse questo quello che il capitano Millis avrebbe detto come apertura di un discorso incredibilmente motivante che li avrebbe spinti in una selvaggia carica verso il nemico. Invece Millis era riuscito a pronunciare semplicemente un “Ven” smorzato prima di essere vaporizzato in una nuvola di sangue, pezzetti d'osso e machismo.
Il resto del plotone sarebbe rimasto impietrito sul posto se non fosse per il basilare istinto biologico alla sopravvivenza che li aveva spinti tutti al riparo dalla pioggia di proiettili prima di concedergli la possibilità di rimanere shockati.
Era invece evidente di come la natura non si fosse premurata di fornire gli stessi istinti anche a Matt visto e considerato che era l'unico rimasto allo scoperto con l'aggravante d'esser occupato a cercare di calmare le risate. Alcuni uomini avrebbero potuto trovare comica l'immagine del loro comandante disintegrato all'inizio di una grande battaglia ma Matt non rientrava in questa esclusiva cerchia psichiatrica. Nei manuali militari esistono interi capitoli dedicati alle “psicosi da combattimento” ma anche questo non era il caso. Matt era alla un veterano, questo genere di cose non lo toccavano più. L'origine del suo riso isterico è da ricercare in un intervallo temporale precedente, esattamente quando il Comando aveva informato le truppe che il “fronte dei combattimenti” si trovava a molte miglia da lì per cui non c'era nulla da temere. Se non ci credete chiedete al Capitano Millis, o a quel che ne resta.
Un boom sonico lo strappò sia dal terreno che dalle sue fantasticherie. Una parte del suo cervello decise di ignorare l'ironia di un bombardamento che ti slava la vita sbalzandoti al coperto. In fondo era un soldato scelto delle truppe terresti, doveva portare morte e distruzione tra i nemici dell'umanità non perdersi in inutili ragionamenti. Solo che al momento non aveva dei bersagli validi restando così a fare scena tra le macerie del centro comando dove fino a due secondi fa era schierato il plotone.
-Situazione!- gracchiò la radio. Era il sergente, almeno lui non era stato vaporizzato.
-8 perdite nella squadra. Dodici operativi ed in copertura.- rispose.
-formazione aperta. Ripieghiamo verso le navette.-
-Signore, non ho ricevuto nessun ordine di ritirata dal Comando...- disse una terza voce sul canale.
-Non esiste più il Comando. Qualcuno dei capoccia ha fatto un grosso casino!-
Si radunarono in fretta e furia ed iniziarono a ripiegare attraverso le rovine fumanti della base. Lo spettacolo era desolante ma nessuno degli uomini, tanto meno Matt era intenzionato a rallentare per osservare il disastro. Sopra di loro le navette degli Xian iniziavano le manovra d'atterraggio. Il nemico si preparava a schierare le truppe di terra e spazzarli via dal pianeta. Dopotutto era casa loro, gli umani avevano solo percorso centinaia di anni luce per conquistarlo.
La zona d'atterraggio era un disastro ancora peggiore. Gli strateghi Xian si rivelarono molto più arguti della loro controparte umana: i loro guerrieri erano già sbarcati frapponendosi tra le navette e i soldati in ritirata. Lo scontro andava avanti già da un po': fucili laser contro artiglieria aliena ben schierata. Il sergente li fece disporre al riparo Matt si avvicinò.
-Perché non fanno semplicemente saltare ne navi? Non ha senso.- disse.
-Se le facessero saltare i sopravvissuti si disperderebbero. Non ci vogliono sul loro pianeta.- rispose il sergente -Preferiscono averci tutti bene in vista dove possono colpirci.-
-Quindi che si fa? Non possiamo tornare sulla flotta sbattendo le braccia.-
il sergente lo fissò per un lungo istante, probabilmente valutando un'esecuzione sommaria, il suo piccolo cervello lottò contro anni di addestramento per formulare un pensiero indipendente dagli ordini. Ci volle un po' ma lo sguardo risoluto e la mascella contratta segnalarono il suo personale trionfo della ragione.
-Vendete cara la pelle.- poi guidò la squadra all'assalto.
Matt corse insieme agli altri sparando all'impazzata verso il nemico. Rideva come un pazzo, non poteva farne a meno.
In fondo stava per morire.

lunedì 4 marzo 2013

Vox populi




14:31 regionale Napoli Roma.
 Peppe, vent’anni scarsi, maglioncino capelli alla Cristicchi e spilla del Movimento 5 stelle attraversa il corridoio. Una volta posato lo zaino guarda con malcelato disprezzo un tizio che legge Repubblica poi si siede.

Franco è un manovale vecchia scuola di quelli che si alza alle 6 del mattino, ignorante come una capra, con due braccia tipo prosciutti e la testardaggine di chi sa di non sapere. Guarda Peppe, fissa la spilla resta un attimo pensieroso poi attacca bottone.

Il traduttore simultaneo interviene
-ma voi mi dovete spiegare una cosa
-noi chi?
-voi che state c o n quello... Grillo
-a me mi state pure simpatici ma io non ho capito. Mo che avete vinto che fate?
Peppe prende un bel respiro. Si impettisce si guarda intorno con aria da professore e poi attacca:
-non abbiamo vinto, non andremo al governo e non ci interessa farlo...
-e allora là che ci state a fa? Pure voi vi volte pigliá i soldi
-no no, noi del movimento i soldi li restituiamo allo stato, ai cittadini.
-pire o'tapp (credo intenda Berlusconi) mi vuole ridare i soldi ma fino a mò non ho visto niente ne da lui ne da voi.
-è complicato ma vi garantisco che noi non prendiamo un euro di quei soldi.
-Vabbó io so ignorante e nun capisco ma comunque mo che fate?
-non lo so, decideremo proposta per proposta senza appoggiare il governo a scatola chiusa
-eh ma mica funziona così prima dovete da la fiducia poi dovete eleggere i presidenti e poi,forse, incominciate a parlare di leggi.
-si ma noi vogliamo restare fuori dai gioci della politica
-e allora nun ti facevi votá. Che ci vai a fare in parlamento se poi non fate la politica?
Peppe resta per qualche secondo interdetto, è un errore. Franco prende fiato e passa al contrattacco. Intando dai sediolini di fianco alcuni passeggeri seguono lo scontro. Il tizio con in mano Repubblica posa il giornale e sogghigna.
-io so ignorante però voglio capì: mo che entrate in parlamento dove vi assettate, a destra o a sinistra?
-quelli sono la stessa cosa! Alla fine sono solo una convenzione, stanno tutti daccordo per togliere il potere al popolo.
-nun mi di a pappardella le cose da sopra al sito! Agg capit, sono tutti mariuoli e mo? Fino.  Mo.  Protestare è facile adesso che pensate di fare lo volessimo salvare il paese? E con che leggi?
-voteremo proposta per proposta senza farci prendere dalle ideologie...
A Franco parte un embolo, gli occhi si stringono.  Fessura e iniziaa sbraitare.
-e come le votate? Ogni vot che si deve spremere il bottone telefonate a Grillo e gli chiedete! E accussi bastava una scimmia mica cento laureati!
-noi puntiamo a delle votazioni on line dove la gente viene sul sito e vota le proposte...
-e io internet non lo so usare come faccio? Mi fotto e subisco?
-no perché noi puntiamo a diffondere la cultura di internet a tutti i cittadini.
-se Vabbó tra dieci anni io voglio votare mo. Ci vogliono soldi, ci vogliono mezzi e ancora non avete fatto il governo.
-ci vorrà un po' di più ma noi ci teniamo alla rappresentanza dei cittadini
-io ci tengo alla sacca mia. E comunque senza governo non potete fa niente proprio.

Peppe risponde qualcosa ma il treno prende velocità e sferraglia. A mezzo vagone di distanza non riesco più a sentire. Brandelli di conversazione segnalano che Peppe,con l'inconsapevole aiuto di una signora, ha spostato la conversazione su altro: il 68, i politici che rubano, Berlusconi. Il clima è più sereno per una buona mezzora quasi mi dimentico della tribuna politica in svolgimento qualche poltrona più in là.
Il treno rallenta, siamo nei pressi di Formia, i freni stridono per un po' poi silenzio.

-non parliamo con la stampa perché o giornali sono tutti collusi con il vecchio sistema di potere. Manipolano le informazioni e dicono solo quello che gli torna comodo.
-invece è meglio credere sono a quello che scrive un solo cristiano su internet.
-si, almeno lui è onesto.
-pure Berlusconi dice che è onesto. Quello che voglio farti capire è come faccio io a sapere chi è in parlamento col simbolo vostro.
-basta andare s...
-no ma io voglio sapere questi che pensano che vogliono fare che propongono chi li conosce a questi?
-sono persone competenti, sono stati selezionati tramite il sito.
Un altra volta il fragore del treno si mangia la risposta. Va avanti così per un altra mezzora poi, a FORMIA Franco fa per alzarsi, saluti convenevoli e un brano di conversazione
-comunque mi piace lei come ragiona, se mi capita di parlare con Grillo le parlerò di lei.
-sicuro mi pensa, con tutti i cazzi che ha per testa- dice Franco tirando giù la valigia ed avviandosi.
-arrivederci
-buon viaggio.

Ed io resto senza animazione per un altra ora.

sabato 2 marzo 2013

L'importante è mandare il messaggio





Certi trailer sono meglio dei film che poi reclamizzano: durano scarsi 2 minuti ma in quella manciata di secondi ti dicono tutto quello che c'è da sapere sul film. Pochi ma significativi dettagli che attraverso i tuoi occhi arrivano fino al cervello e che ti convincono ad andare a vedere un film.
Facciamo degli esempi:


PACIFIC RIM

La sequenza iniziale si apre con delle cose apocalittiche. La voce fuori campo parla di alieni. I più furbi in sala già si sono fatti l'idea che non sarà un film dove portare la fidanzata.
Dopo i primi 20 secondi sai che: ci sono gli alieni che escono dal mare, gli umani stanno morendo tutti e per rafforzare questo principio all'improvviso un mostrone gigantesco ribalta un ponte e tu pensi: “du palle un'altra copia di Godzilla!”
Stacco. Una scena fantascientifica. Due tizi con tutine high tech e una voce metallica. Passano 5 secondi in cui non capisci che succede.
Stacco. Dei robbottoni vengono sganciati in mare il cervello fa i debiti collegamenti:
ROBBOTTONI+MOSTRI STILE GODZILLA= CAPOLAVORO. La fidanzata media sbuffa annoiata. Anche questo è normale è fatto a posta.
Ora che il fulcro del film è chiaro e la gente che osserva il trailer è equamente divisa tra esaltati e gente che si chiede “ma che è 'sta roba” parte una sequenza di immagini di combattimento mischiate alla voce di un negrone che fa il discorso esaltante. Musica sparata e via. Qualche effetto speciale per dimostrare che i robbottoni sono fatti bene e poi titolo.
Se ti piace il genere l'istinto è quello di tornare alla biglietteria e chiedere di andarlo a vedere subito.

OLIMPUS HAS FALLEN

Tutto calmo tutto bello: il presidente e moglie escono da Cap David. Un incidente lei muore lui viene salvato dal capo della scorta. Dieci secondi: sai chi è il protagonista e già sai il suo dramma interiore.
Stacco, Casa Bianca. Il protagonista è stato licenziato (o qualcosa del genere non si capisce) un gruppo di terroristi attacca la casa bianca. Quasi trenta minuti di esplosioni e sparatorie dopo tu sai che: la Casa Bianca è nelle mani di un gruppo di terroristi stile Al Quaeda, il presidente è ostaggio, il capo dei cattivi è un cinese (non lo dicono ma che cazzo è asiatico). Il nostro protagonista è rimasto nella Casa Bianca. Si da ora più continuare TU il film.
Stacco gente che parla tra cui Morgan Freeman che fa il vice presidente. Il messaggio è chiaro: c'è Morgan Freeman non può essere un brutto film. Dopo circa 5 secondi di battute sappiamo che il protagonista è solo contro 50 cattivi, sappiamo che è un figo e che è il più forte che c'è. Parte la musica alta e una serie di sequenze in cui vediamo:
lui che salva un bambino
l'esercito che attacca la casa bianco e si ritira.
Lui che mena a uno con una mossa acrobatica
la bandiera americana in fiamme. Fuoricampo il presidente che dice “gli stati uniti non negoziano con i terroristi!”.
un pezzo di Casa Bianca esplode.
Altre esplosioni, un soldato che salva un bambino. Titolo.
Un trailer ottimo: sai tutto quello che devi sapere per poter spendere in coscienza i tuoi euro compreso che è un film di propaganda.

Invece un brutto trailer? Non ne ho trovato uno ma sono quelli che fanno tipo così:

più terrificante di The Ring.
[immagine a caso di adolescenti che gridano]
più splatter di Saw!
[schizzo di sangue e altre grida]
agghiacciante” - Times
[immagini di gente al cinema che salta dalla sedia]

Cosa ci comunica questo tipo di trailer?
“questo film fa schifo. Talmente schifo che noi che dobbiamo reclamizzarlo non riusciamo a fare di meglio se non metterlo a paragone con altri film.”