giovedì 21 marzo 2013

Pagace! Pagace! (Budapest 1)



All'aereoporto si scopre che il biglietto ha necessità di essere rimpinguato con altri soldi. Il nostro bagaglio non è nelle misure standard da “bagaglio a mano” esattamente per 2 cm. Sono 30 trenta polpette a testa. L'unico che se la cava è Alessandro. Quando gli dicono di mettere la valigia nel misuratore Ale spinge con tutte le sue forze con due risultati: la valigia passa come bagaglio gratuito ma si incastra.

Si avanza per i corridoi di Fiumicino in cerca del Gate e di cibo ed è lì che incontriamo i primi personaggi. Sara ha lavorato per qualche anno da Mc Donald cosa che la porta ad aborrire ogni tipo di catena fast food. È una bella cosa, considerando che Fiumicino scoppia di ristoranti. Alla fine si decide per Spizzico. Dopo aver avuto l'onore di pagare un trancio di pizza e delle patatine otto euro sentiamo i discorsi dietro di noi:
immaginatela contata
“PAGACE! PAGACE! PAGACE A' MAIALA! OH, DANIELE PAGACE A' MAILA!”
Aurora sbircia inorridita – italiani all'estero. Ecco ci ci fa fare le figure becere in giro per il mondo- parte un dialogo sui massimi sistemi e sulle mezze stagioni su come tutto il mondo sia più bello e vivibile dell'Italia e concludiamo compatendo chi se li troverà in aereo.

Pista di decollo. Alessandro si sta mangiando le mani dalla paura. L'ultimo suo viaggio aereo (a detta sua) è stata una prova mancata di un film di disastri aereo e quindi ora la vive male. Io cerco di leggere alla fila di fianco. Aurora e Sara cercano di tranquillizzare Alessandro con vari tentativi.
Decolliamo.
Ale bestemmia.
L'aereo si allinea.
Le luci interne si accendono.
-PAGACE! PAGACE! PAGACE A' MAIALA! OH, DANIELE PAGACE A' MAILA!- qualche fila più in là.
Un ora e mezza dopo siamo atterrati e stiamo salendo sul pulmino che ci porterà dentro l'aereoporto. Sara ed io (presente solo in quanto sagoma che non capisce niente) andiamo allo sportello dei taxi prendiamo accordo scopriamo che grosso modo sono 6000 fiorini. Tipo 20 euro.
Il viaggio dura una ventina di minuti di autostrada, poi capannoni e infine palazzi in cui Aurora viene colpita da una sindrome che la prende ad ogni viaggio: “quanto è bello qui. Non come in Italia che...” alla fine il viaggio rivelerà che ha ragione pure ma dirlo nel viaggio in taxi tra i capannoni fa un po' ridere.
Ma vabbé.

Arrivare alla casa è una storia in se: la padrona di casa ci ha lasciato le chiavi in un ostello noi arrivati lì prendiamo le chiavi e andiamo alla casa. Questa era una questione che ci lasciava un po' perplessi ma Isabell (la padrona se ricordo bene) ci sorprende.
Arriviamo all'ostello. Il citofono è incomprensibile ma con alcuni tentativi troviamo l'unica scritta in inglese (un inquietante “HOSTEL” per chi ha visto il film) bussiamo, il tipo ci apre senza fare un piega ma il portone fa un rumore a noi sconosciuto (una specie di BIIIP) appena finisce noi spingiamo e non si apre. Dopo vari tentativi, un attimo prima di ribussare, il tipo dell'ostello scende giù e ci consegna tutto a mano.
E qui Isabell ci stupisce. Nella busta con le chiavi non c'è solo l'indirizzo e il codice del portone. C'è una mappa, disegnata a mano, della strada dove ci troviamo. Sembra la mappa del tesoro fatta a penna blu. Arrivare a casa non ci costa nulla e nelle viuzze laterali troviamo due supermercati aperti a notte fonda, alcuni locali e un portone.
Il nostro.

Qui momento Superquark
parte la musichetta.
I portoni ungheresi non sono a molla elettrica come i nostri. Se un'italiana, come Sara, si avvicina al portone con le chiavi non troverà la serratura. Eh no! C'è il codice, come nelle banche: cinque cifre dopo le quali parte un lungo BIIIP. Lo capiremo solo il giorno successivi che il segnale acustico segna il tempo che hai per spingere il portone prima che si richiuda. Una volta entrati scopriamo che qui non si usano le serrature (almeno nei portoni) c'è una grossa calamita attaccate dietro al portone. Se fai il codice la calamita stacca, se no muori lì.
Fine parentesi Superquark.

La casa è molto carina pavimento in legno, caratteristica, non una baracca e ben arredata. Solo due cose ci fanno accapponare la pelle: il pavimento scricchiola ad ogni passo (per i superstiziosi come noi è un problema nel cuore della notte) e le stufe sono a gas modello “Armata Rossa” da qui il divieto di Isabell di fumare in casa.

Come in ogni parte del mondo io ed Alessandro veniamo spediti in strada a procurare dei beni di prima necessità: acqua e schifezze. Dopo sommarie informazioni su come ritornare e la consegna delle chiavi noi due intrepidi ci aggiriamo per la strada seguendo il piano dei cerchi concentrici ovvero: gira sempre intorno ad un palazzo che prima o poi ritrovi pure casa.
Quando spuntiamo sulla strada dei locali e notiamo i vari capannelli di gente si svolge il seguente dialogo.
-marò ma qua è pieno di rumeni. Stiamoci attenti.- dico io cedendo ai pregiudizio.
-Beh è normale.- mi fa Ale ridacchiando.
-E mica tanto non dovevamo stare in centro?-
-A' Sté siamo nell'est Europa. Mi sa che è normale.-
Andiamo nel minimarket notturno dove ai commessi chiaramente ci odiano a sguardi in quanto turisti che entrano alle 2 di notte. Compriamo, paghiamo, io agito le braccia in gesti da gorilla per avere un busta e ripartiamo.
Per il resto tutto liscio, dormiamo tranquilli.

Ah, dimenticavo: fuori c'è la neve e il termometro del taxi segna -1°C 

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