mercoledì 1 agosto 2012

sagome di cartone che prendono vita


Un esperimento. Ogni paragrafo è un personaggio ispirato o tratto da gente che ho visto in giro o al lavoro. Nessun nome o storie solo una persona che provo a tratteggiare il più possibile in un paragrafetto. Buona lettura







A vederlo da vicino fa paura. Non è alto o grosso. Ha un espressione gentile se non fosse che condivide i lineamenti di Leonida. Non è nemmeno la boccia pelata o la barba curata a fare paura né quegli occhi scuri e brillanti. Il sorriso fa paura, un bel sorriso, amichevole e gioviale che non si preoccupa di mettere in mostra i denti ingialliti dal fumo e spezzati da avventure vecchie e nuove. È un sorriso che per quanto gioviale suggerisce un importante messaggio cifrato. Quando vedi quel sorriso per la prima volta i tuoi geni ti fanno tornare alla mente i gorilla nella giungla: stanno tranquilli per i fatti loro ed è meglio che tu faccia lo stesso. Il suo sorriso comunica qualcosa di molto simile: non rompermi il cazzo e tutto andrà bene. Le mani grosse e bitorzolute, di quelle che hanno lavorato da sempre, completano il messaggio rendendo ancora più semplice la decisione.



Sorride sempre, qualche volta canta a squarciagola incurante delle note storpiate. È agile di mente e di mani sempre pronta a togliersi dalla traiettoria del prossimo guaio. Li riconosce, pare, per puro istinto. Se lei è sparita è facile che stia arrivando qualcosa. È intelligente come una donnola ma è tutta conoscenza autodidatta: quella che ti fa scoprire che il fuoco brucia perchè ci hai messo dentro la mano. Ha dei problemi con le parole difficili quelle che racchiudono concetti complessi e spesso metaforici. Non si fida delle metafore soprattutto perchè non ha ancora capito come si colgono. Ma crede di essere a buon punto: se si colgono o sono fiori o sono frutti. È semplice.



È sicuro di se. È sicuro di essere il migliore di non aver bisogno di nulla. In trent'anni di vita non si è mai chiesto un “come “ o un “perchè” e vive benissimo così. Tira diritto per la sua strada certo che ogni cosa sia esattamente quella che sembra o che lui crede che sia. Non ha bisogno di fare domande perchè in fondo ha già le risposte. L'unica volta che ha usato un punto interrogativo è stato nella frase “mi vuoi sposare?” ma anche lì si trattava di una semplice formalità. Qualcuno potrebbe pensare che sia un meccanismo protettivo, un modo per tenere lontane le cose brutte della vita, ma è un complicarsi la vita. Lui è felicissimo così. Non finge che vada tutto bene. Va tutto bene.



Tiene la testa bassa si aggira nel mondo con la perenne espressione della cerbiatta di fronte al tir. È un fascio di nervi. Capelli arruffati e privi di grazia, vestiti che le stanno addosso come starebbero su un attaccapanni. Non capisce o non vuol capire quello che le viene detto. Mai. Ogni frase, ogni parola è una velata minaccia. Un insulto ben mascherato. Ma lei lo sa, sa e un giorno riferirà tutto. Sta solo aspettando il momento buono. A casa la sera rimugina vendetta in poltrona, non accarezza il gatto perchè non saprebbe scegliere quale. Ma il concetto è lo stesso. Tutti le vedono fragile e terrorizzata ma, un giorno, gli pioverà addosso come un mare di merda. Un giorno.



“che vita del cazzo” è la prima cosa che pensa sempre ogni mattina da dieci dei suoi quarant'anni. Non è molto femminile come cosa ma non può proprio farne a meno mentre dall'altra stanza il piccolo piange e sua madre borbotta qualcosa. Non la finisce mai di lamentarsi ma alla fine è lei che fa tutto: bada ai bambini va a lavorare, sistema casa. Sua madre mette sul tavolo la pensione e i spreca a dare un occhiata ai bambini mentre è fuori. Ogni tanto ama anche ricordarle quanto è stata stupida a divorziare. Per lei la felicità si riassume con una pancia piena e un tetto sulla testa, il resto sono fronzoli inutili messi dai giovani per rendersi la vita infelice. Qualche volta pensa che la madre abbia ragione. Quando sta nella metropolitana schiacciata tra gente sudata, quando fa finta che la schiena non le faccia male mentre alza l'ennesimo scatolone o quando passa su quel ponte per tornare a casa e ogni volta pensa a come sarebbe bello provare a volare.



Potrebbe essere uscito da un telefilm, una di quelle fiction della Rai che finge di replicare la realtà. Ha una barba corta e rossiccia. Ben curata da altri, non prende in mano un rasoio da quando aveva dodici anni. Jeans Armani, una polo semplice e un maglioncino leggero buttato sulle spalle che contribuisce a identificarlo come la sua porche o l'orologio d'oro. Quando la gente pensa a quelli come lui immagina che non abbia un problema al mondo. In molti casi è vero ma non in tutti. Lui ha due problemi abbastanza gravi: la noia e “quell'altra cosa che sa il dottore”. Ha smesso di pensare al secondo problema da tempo. Vada come vada non è più in suo potere fare qualcosa. La noia invece è qualcosa di tangibile che avvolge le sue giornate. Suo padre ha ammucchiato tanti di quei soldi che le prossime cinque generazioni potrebbero continuare a vivere come lui senza un problema. Suo padre ha lavorato, ha costruito tutto e poi lo ha lasciato in mano a lui e ai suoi fratelli ma oramai il grosso è stato fatto. Gira per il suo piccolo “impero” con l'aria di chi sta facendo qualcosa di fondamentale ma in realtà tutto quello che gli si chiede è sorridere e stare buono. Non c'è più nulla da fare ed ora che le cose vanno per il verso giusto solo un idiota potrebbe rovinare tutto.

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