martedì 31 luglio 2012

Qualcosa

notte, fuori il caldo afoso ed umido sale dall'asfalto lambendo la facciata del palazzo. Si insinua tra i mattoni riscalda le finestre fin su al sesto piano. Non si sente volare una mosca se non per l'occasionale auto di passaggio.



Silenzio dentro, fuori e tutt'intorno. Il mondo si è fermato, forse ha smesso digirare o forse il calore ha portato via tutto: ogni frivolo pensiero si è sciolto da tempo ed è stato portato via dal sudore. Si cucina, si mangia, si lava si stira e si scopa solo lo stretto indispensabile in attesa che il calore passi. Non si dorme. Sarebbe piacevole dare la colpa al caldo, alle lenzuola zuppe di sudore, ai dannati motociclisti che si allenano per il moto gp sulla Appia ma sarebbe troppo facile.



La porta è chiusa, la finestra è aperta il ventilatore sposta aria calda contro altre cose calde. La casa è silenziosa e vuota. Ma non sono solo.



Giulia (Pigiama) è andata via quasi tre giorni fa. Sono riuscito a tornare da Napoli in tempo per vedere la scena e conoscere i suoi genitori. Ora so da chi ha preso le sue strane abitudini: alle 2 meno qualcosa stanno ancora cenando.



La Cula, quell'orrendo aborto mancato privo di simpatia, è sparita nel nulla la sua compagna di stanza anche. Non che sia una novità la seconda Cula (raffaella credo) lavora dall'alba al tramonto o qualcosa del genere. La incontro solo quando ho il turno di mattina. E per fortuna non è questo il periodo.



Sono solo in casa. Non c'è un rumore eppure c'è Qualcosa. Non è il ticchettio della lavatrice né i normali gemiti di dolore delle tubature. È Qualcosa di più profondo e più persistente come un rumore di fondo che all'improvviso sparisce. Prima era fastidioso ora è inquietante.



Parlo da solo in questi giorni. Non c'è anima viva in casa e nemmeno fuori, dopotutto è Agosto, chi è partito, chi è lontano e chi ha altro da fare. Parlo da solo per fare alcune conversazioni che altrimenti mi resterebbero in gola. E magari se lo intrattengo questo Qualcosa mi lascerà in pace.



L'unico contatto umano è quello con i colleghi del lavoro scemo: gente con famiglia a venticinque anni. Qualcuno con figli. Sembra che la loro unica soddisfazione sia lavorare (oltre che vantarsi i imprese mirabolanti). Non sono definibili conversazioni quando sei costretto ad annuire tra un aneddoto e l'altro. E poi chiacchierare e lavorare insieme mi fanno andare in tilt il cervello.



L'altra mattina una strana conversazione tra battute e risate mentre andavo via la capa mi fa:

“ma a te piace questo lavoro?” col tono di chi si aspetta di sentire un si

“mi piace avere uno stipendio” faccio io sorridendo

“quindi ti piace o non ti piace” fa lei un po' spiazzata

“mettiamola così” dico io ironico “se fossi miliardaria verresti lo stesso a lavorare?”

“ma non sono miliardaria” dice lei palesando che per lei una “metafora” è al massimo un formaggio di qualche paese strano.

“appunto” faccio io


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