Silenzio dentro, fuori e tutt'intorno.
Il mondo si è fermato, forse ha smesso digirare o forse il calore ha
portato via tutto: ogni frivolo pensiero si è sciolto da tempo ed è
stato portato via dal sudore. Si cucina, si mangia, si lava si stira
e si scopa solo lo stretto indispensabile in attesa che il calore
passi. Non si dorme. Sarebbe piacevole dare la colpa al caldo, alle
lenzuola zuppe di sudore, ai dannati motociclisti che si allenano per
il moto gp sulla Appia ma sarebbe troppo facile.
La porta è chiusa, la finestra è
aperta il ventilatore sposta aria calda contro altre cose calde. La
casa è silenziosa e vuota. Ma non sono solo.
Giulia (Pigiama) è andata via quasi
tre giorni fa. Sono riuscito a tornare da Napoli in tempo per vedere
la scena e conoscere i suoi genitori. Ora so da chi ha preso le sue
strane abitudini: alle 2 meno qualcosa stanno ancora cenando.
La Cula, quell'orrendo aborto mancato
privo di simpatia, è sparita nel nulla la sua compagna di stanza
anche. Non che sia una novità la seconda Cula (raffaella credo)
lavora dall'alba al tramonto o qualcosa del genere. La incontro solo
quando ho il turno di mattina. E per fortuna non è questo il
periodo.
Sono solo in casa. Non c'è un rumore
eppure c'è Qualcosa. Non è il ticchettio della lavatrice né i
normali gemiti di dolore delle tubature. È Qualcosa di più profondo
e più persistente come un rumore di fondo che all'improvviso
sparisce. Prima era fastidioso ora è inquietante.
Parlo da solo in questi giorni. Non c'è
anima viva in casa e nemmeno fuori, dopotutto è Agosto, chi è
partito, chi è lontano e chi ha altro da fare. Parlo da solo per
fare alcune conversazioni che altrimenti mi resterebbero in gola. E
magari se lo intrattengo questo Qualcosa mi lascerà in pace.
L'unico contatto umano è quello con i
colleghi del lavoro scemo: gente con famiglia a venticinque anni.
Qualcuno con figli. Sembra che la loro unica soddisfazione sia
lavorare (oltre che vantarsi i imprese mirabolanti). Non sono
definibili conversazioni quando sei costretto ad annuire tra un
aneddoto e l'altro. E poi chiacchierare e lavorare insieme mi fanno
andare in tilt il cervello.
L'altra mattina una strana
conversazione tra battute e risate mentre andavo via la capa mi fa:
“ma a te piace questo lavoro?” col
tono di chi si aspetta di sentire un si
“mi piace avere uno stipendio”
faccio io sorridendo
“quindi ti piace o non ti piace” fa
lei un po' spiazzata
“mettiamola così” dico io ironico
“se fossi miliardaria verresti lo stesso a lavorare?”
“ma non sono miliardaria” dice lei
palesando che per lei una “metafora” è al massimo un formaggio
di qualche paese strano.
“appunto” faccio io
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