mercoledì 4 luglio 2012

The Siculo's Supremacy (1)


Parigi, per poco giusto il tempo di lasciare la Francese ai suoi affari. Poi Napoli e in meno i mezza giornata Palermo. Nessuno bada a lui perchè su quel barcone che la Tirrenia ama chiamare traghetto la gente bada agli affari suoi. Giuseppe non ha intenzione di far cambiare loro idea.



Ora qui: una stanza buia in uno scantinato della Palermo vecchia. La gente qui sotto, tra fiaschi di vino e casse di salumi, si aspetterebbe di trovare un boss un padrino dall'aria imponete. Invece quello che Giuseppe ha davanti è un omini piccolo, quel tipo d'uomo che a vederlo sembra nato per strisciare nella vita con aria viscida da berlusconiano. Non che il suo orientamento politico interessi a Giuseppe, a lui servono solo le sue informazioni.

Basta una pistola posata sul tavolo e al piccolo omini passa la voglia di elencare i suoi amici. Lo sguardo sorridente e silenzioso di Giuseppe funziona più di un migliaio di parole. Il tappo canta, canta con al sua voce gracchiante e incrinata dalla paura:

“si ti hanno fregato ragazzo”
“questo lo so”
“pare che qualcuno ha chiesto il permesso ai capi...”
“in che modo?” la mano si poggia casualmente vicino alla pistola.
“hanno pagato un indennizzo, sono usciti alcuni capi” tentenna il tappo
“che tipo di gente era?”
“e io che ne so!? Mica li ho mai visti, sono uno tranquillo io” per un attimo il tappo si indigna.
“sicuro, uno tranquillo che si fa i fatti propri, come le comari del paese.”
“esatto” quasi riprende colorito
“avete molte cose in comune, per esempio la vicinanza alla morte”
il tappo sbianca si irrigidisce e poi riprende come se nulla fosse.
“sembrava gente seria, gente italiana o di ancora più su. Completi scuri occhiali alla moda e pistole serie. Non quelle scacciacani che usano qui”
Giuseppe annuisce pensieroso.
“ti darò una cosa per i boss. Impacchettata. Tu non l'aprirai e la porterai a lui senza fiatare solo davanti a lui, in privato, gli dirai che è da parte mia. Poi prima che lui la apra te ne andrai”
“sarà mica una vendetta? Sono uno tranquillo io!”
“nessuna vendetta, se fai come ti dico te ne andrai con le tue gambe.

È un attimo, la pistola sparisce sostituita da un pacchetti di carta marrone mentre la sedia davanti al tappo è vuota. Il tappo segue il rumore dei passi, poi quello della porta che si apre e poi si richiude con un tonfo. Solo allora la sua vescica si prende la libertà di cedere.



Parigi. La torre Eiffel, l'arsenale il Louvreè. È tutto così interessante così bello e così vivo ma per quel che riguarda la Francese potrebbe esplodere domani mattina. Al piccolo bar ad un angolo due uomini in abiti scuri la osservano con lascivia mentre si avvicina al tavolino. Si siede guardandoli come se i due fossero sguatteri e non agenti del SiSME con esperienza decennale. Lei passa a lor la piccola cartella scura che teneva nella borsa. Il primo la prende la scorge e la passa al secondo che osserva con più attenzione fa per apreire la bocca ma il primo lo precede:

“che ci fa a Palermo?”
“ci siamo separati subito dopo l'arrivo all'aereoporto. Doveva sbrigare degli affari”
“di che genere?” chiede il secondo per darsi un tono.
“cercare le informazioni che voi vorreste tenere segrete immagino” sorride come se si parlasse di ricette di dolci e non di terrorismo internazionale.
Il secondo mette via la cartella e fa per alzarsi buttando alcuni euro sul tavolino: “grazie per la collaborazione”
“dovere” dice in tono ironico.
Anche lei si alza mentre il primo gli mette in mano una pennetta USB. L'espressione è seria come quella di un marine pronto allo sbarco.
“mi dispiace di arrivare a tanto. Anche lei sa cosa c'è in ballo...”
“il nuovo ordine mondiale o qualcosa di simile” dice con aria di sufficienza la Francese mentre si allontana per le stradine di Parigi.
“quella donna è pazza” sussurra il primo
“è per questo che non ci ha sparato all'istante” dice risoluto il secondo.
I due vanno via. Presto si dovranno sistemare molte cose e non sarà saggio rimanere a Parigi.


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