venerdì 12 aprile 2013

Mia cara e dolce Giulia


Quando non riesco a dormire penso a Eataly. Per qualche motivo quel posto orribile mi si deve essere infilato in profondità nel cervello in quel mesetto scarso che mi ha visto come dipendente e protagonista della “nuova Italia che cresce” o qualunque altra sia la stronzata altisonante che usano come motto.
A guardarsi indietro adesso non è stata una bella esperienza. Per niente. Settecento euro guadagnati in cambio della completa distruzione di ogni briciola di autostima che abbia mai posseduto sul posto di lavoro. Intendiamoci non è che io sia una cima tra i lavoratori ma dopo gli anni del Conad pensavo che il mio l'avevo fatto. Ero fermamente e intimamente convinto che un lavoro (per quanto completamente privo di gratificazioni) lo sapessi fare. Che cazzo, affettare il prosciutto alla gente! È come andare in bicicletta: un sorriso finto affettuoso un “cosa le do oggi bella signora?” e un “che faccio lascio?” detto con tono di finta scusa pensavo bastasse.
Ha funzionato per due anni al Conad ai Ponti Rossi a Napoli. Una di quelle zone popolari dove la fila per il prosciutto è l'anticamera di rivoluzioni, dove si lotta per ogni singola oliva e dove la frase più gettonata era “e ja fammo'prezz buon cà so client!”
Ma, evidentemente, ero stupido e ingenuo. Non che la cosa fosse un problema, di lì a poco sarebbe arrivata la saggezza sotto forma di un incidente sulla via dell'evoluzione dalla forma di donna coi capelli tinti di rosso: Giulia.
C'è un tipo di persona che ti sconvolge la vita. Che prende le tue certezze e le tratta come un ragioniere gracilino che per sbaglio è finito a fare da avversario a Tyson. Quel tipo di persona che ti fa provare quello che provarono i dodo quando gli dissero che l'evoluzione aveva puntato sulle scimmie e loro non erano più richiesti.
L'unica altra persona così che ho trovato sul posto di lavoro era Don Gennaro, il padre-padrone del Conad. Lui e Giulia avevano moltissime cose in comune: scarsa pazienza, alti standard e quella ferrea convinzione che se il Padreterno avesse messo in mano a loro l'organizzazione del creato loro avrebbero fatto di meglio. C'era solo una differenza tra i due: Gennaro, con tutti i suoi difetti, puntava a farti migliorare perché su di te stava spendendo dei soldi.
Giulia, dal canto suo, era una stronza.

Purtroppo o per fortuna non sono uno dalla risposta pronta. Un po' mi manca proprio e un po' evito perché poi quando la risposta mi esce non la so dosare e si va sempre a finire male. Sono affetto da quella che Gaiman chiama “sindrome dei 5 minuti dopo”. Quella che ti fa venire in mente la risposta perfetta sempre dopo che il fatto si sia concluso.
Per cui dovremo spostarci in un universo parallelo per osservare alcune scenette interessanti e i loro sviluppi. In questo particolare universo il mio omonimo lavora sempre per Eataly ma questa volta sa che tra una settimana lo licenzieranno, quindi non fa nessunissimo sforzo a tenersi dentro le rispostacce che gli salgono in gola. So che sembra un esercizio di masturbazione mentale ma la notte è lunga e io non ho nessunissima speranza di dormire.

Sono nel laboratorio sul retro, sto impacchettando e prezzando dei formaggi mai visti prima che qui considerano prodotti tipici sardi. Accanto a me c'è Giulia che mi da una mano. È di buon umore, uno di quei rari momenti in cui ride e scherza come se fosse una di noi. Quelli più esperti di me fanno i simpatici tenendo sempre lo scherzo al livello giusto per gratificare l'ego del capo. Io sto zitto perché se non hai niente da dire è bene non non dirlo.
Non seguo la conversazione finché Giulia non si gira verso di me e chiede
-Dimmi un po': ti piace lavorare qui?-
-E' una di quelle domande a trabocchetto? -
-Non si risponde ad una domanda con un altra domanda. - Piccata.
-Non si fanno domande di cui già hai deciso la risposta.-
Silenzio.
-Su forza è una cosa semplice: ti piace o non ti piace?-
-Si mi piace.- dico -Mi piace avere uno stipendio e mi piace guadagnarmelo ma sinceramente qui o altrove non è che fa questa gran differenza.
È ovvio che nel mondo reale, nella nostra dimensione, la mia risposta è stata “eeccerto! E come no!”

Stacco. Un sabato pomeriggio. Tutta Eataly va nel panico sabato pomeriggio perché gli stronzi benestanti che vengono a comprare il prosciutto a 40 euro a kg e le piadine a 10 euro vengono in massa. C'è un po' di casino nel reparto, la macchina per sigillare le vaschette ha appena finito il rotolo di plastica e va cambiato. Sfiga vuole che sia nei paraggi e vengo spedito a recuperare il rotolone incriminato.
Ora. Quando ero al Conad (e come ho già detto altrove eravamo scemi) tutto quello che ci serviva era nei mobili alle nostre spalle. In cassetti, armadi ecc ecc ma comunque bastava girarsi e aprire tutto fino a trovare l'aggeggio desiderato.
Qui è diverso, sul retro c'è una zona magazzino dove tutto il materiale di tutti i fottuti reparti del piano è sistemato su una massiccia scaffalatura di metallo. Tempo prima Daniele (credo si chiamasse così) mi aveva spiegato la disposizione
-Allora, lì ci sono i guanti grandi- indica -qui i piccoli- indica altrove. Si arrampica su degli scatoli -e qui trovi le vaschette- si sposta di un metro più in là -qua i rotoli per la macchina- scende e continua ad indicare uno dopo l'altro gli scatoloni tutti uguali.
-Scusa ma con che criterio sono disposti?-
-In base al codice con cui arrivano al magazzino centrale- dice lui guardandomi come se mi dovesse spiegare che il sole tramonta ogni sera.-
-Comunque tutto chiaro?- chiede.
-Veramente no, che cazzo di senso ha? Mettiamo tutta la roba nostra da una parte così almeno sappiamo dove sta. Così è una follia.-
Lui mi guarda. Non è difficile leggere i suoi pensieri, qualcosa come “nessuno mi paga per spiegare a questa scimmia come si lavora qui dentro”
-Bene quindi tutto chiaro. Torniamo a lavoro.-
si gira e va via.
Ma torniamo a quel sabato pomeriggio. Vengo spedito inmagazzino a recuperare il rotolo per la macchina. Davanti alla scaffalatura faccio l'unica cosa che mi viene in mente. Ovvero arrampicarmi e frugare a caso nelle scatole che mi sembrano della misura giusta. Ci mento una decina di minuti ma alla fine lo trovo. Mentre sto scendendo con la scatola del trofeo mezza aperta. Giulia entra nel magazzino. È palese che le è andato il tampax di traverso. Mi prende la scatola dalle mani prende il rotolo e lancia via il cartone con fare teatrale poi si allontana.
-Grazie, il tuo aiuto è sempre prezioso. Anzi, meno male che sei arrivata te che non avrei proprio saputo come fare per tirare fuori la roba dal cartone. Fa una cosa la prossima vota vieni prima e sbattiti un altro po' così sicuro la roba mi salta imbraccio prima. Stronza.- dico mentre lei si allontana.
Anche qui, nel mondo reale stai zitto e fai pippa per amor dei tuo 700 euro.

Stacco. Un pomeriggio di giovedì. Giornata smorta dove manca la materia prima di ogni esercizio commerciale: i clienti. Per qualche misterioso motivo Giulia è di buon umore, ride e scherza con noi nel laboratorio. L'argomento di discussione è le conquiste amorose. Anche io porto il mio contributo ma passo in secondo piano.
-..e poi c'era questo mio amico di Roma che mi stava sempre dietro, se non ero sposata...- dice Giulia prendendo fiato tra un aneddoto e l'altro.
-Wa, Giulia certo che hai fatto strage.- commenta Mario.
-Eeccerto! Con questo fisico che mi ritrovo gli uomini fanno la fila.- dice lei indicando con le mani la mercanzia.
Ora, giuro, nella scala dell'appetibilità sessuale Giulia rientra nella categoria “si ma solo se sono su un isola deserta e non ci sono altri orifizi disponibili”
quindi la mia risposta non poteva essere che:
-Uomini coraggiosi.-
Silenzio. Lei si gira, sta ridendo ma è quella risata tutta femminile che preannuncia orrore e morte.
-Stai dicendo che non ti piaccio?-
-No. Io, personalmente, ci tengo a rimanere in buoni rapporti col mio pesce e se dovessi mai infilarlo in una cosa come te temo che non mi parlerebbe più.-
Qui, in quest'universo alternativo, ci sarebbe stata la standing ovation. Di quelle che solo la nuda e cruda verità meritano.

Stacco. Martedì mattina, inizio il turno alle 10. trovo già tutti pimpanti e scattanti segno che Giulia ha già messo piede in negozio. Oggi è in vena di simpatia mi accoglie sulla soglia.
-Che ci fai qua?- sguardo duro.
-Ho il turno fino alle 14.- nella mia testa si fa largo la possibilità che ho sbagliato giorno ed oggi ero libero.
-No oggi vai giù in panetteria. Hanno chiamato dall'ufficio e ti hanno spostato lì.- sempre serissima.
-I vestiti e tutto me li danno lì o devo passare sopra?-
-ti danno tutto giù, vai.-
slaccio il grembiule mentre mi avvio verso il retro per ricambiarmi.
-Ok, ciao gente è stato un piacere. Ci si vede in giro.- gente che ride.
-Aspetta dove vai?- fa Giulia.
-In panetteria, me lo hai detto tu.-
-era uno scherzo ma ti pare che ti spostavamo così?-
-Per come trattate la gente qui dentro non mi avrebbe sorpreso.-
-Ma a te proprio non te ne frega niente dove stai eh?-
-No. Nulla.-

Ultimo giorno di lavoro. Il turno finisce alle 22. il mio contratto scade oggi. Sono le 21 e ancora nessuno mi è vento a dire niente né del rinnovo né degli eventuali turni della settimana prossima. Giulia esce dal laboratorio, si toglie il grembiule e si prepara ad andarsene. Io mollo la signora che stavo servendo al banco e la raggiungo.
-Giulia scusa ma io domani che devo fare?-
-In che senso?-
-Domani mi scade il contratto nessuno mi ha detto niente e non ci sono i turni di domani.- riassumo -devo scendere a lavorare o sono licenziato?-
-Ma l'agenzia non ti ha avvisato?- faccia triste e dispiaciuta.
-Se lo avesse fatto non ti avrei chiesto niente.-
-Mi dispiace dover essere io a dirtelo ma non ti hanno rinnovato il contratto.- la fisso un attimo memore dello scherzo della panetteria.
-E' uno scherzo?-
-Ti pare che possa scherzare su una cosa così?-
-Magari no ma intanto te ne stavi andando senza dirmi un cazzo.-
-Non è mica compito mio.-
-Giusto! Tu sei solo la caporeparto mica dici alla direzione chi resta e chi va. Una mattina scendi a faticare e scopri chi hanno licenziato i tizi dell'agenzia.- mi sto alterando leggermente.
-Comunque dai una mano a Peppe per la fine del turno e poi. Mi dispiace.- tende la mano per dare un saluto quando due minuti prma stava sgattaiolando via di corsa.
-TI DISPIACE 'STO CAZZO GRASSO E PELOSO. Sta stronza di merda! Che è ? non lo potevi dì prima perché ti pensavi che facevo i sabotaggi o che non mi sbattevo più appresso a te e alle tue stronzate.- predo fiato, mi giro e vado via. Si fottesse Peppe con tutti i filistei.

E qui è andata più o meno così. con qualche kitammuort in meno ma il senso era quello.

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