giovedì 4 aprile 2013

Di cibo et de Italianum in estranee terre (budapest 5)


lunedì 18 Marzo.
Le cose si fanno sempre con una discreta calma dopo San Patrizio. Nessuno di noi ne fa un dramma visto e considerato che la tradizione ungherese pone nel lunedì il giorno del riposo del guerriero e di qualunque cosa possa interessare ad un turista armato di magica scatola cattura immagini. I musei sono chiusi, gli edifici storici sono chiusi, le terme(!) sono chiuse. La città di Budapest si trasforma metaforicamente in uno studente che ha deciso di fare sega a scuola e non ha nessuna intenzione di alzarsi.
Anche noi ce la prendiamo con una discreta calma optando per una visita all'isola Margherita, che credo si chiami così dal nome di una regina. Di che si tratta di preciso? Di un isolotto in mezzo al Danubio coperto di verde (e scopriremo in seguito di poco altro). Oramai siamo padroni dei mezzi pubblici della città e arriviamo con sulle rive del Danubio con sufficiente facilità per poi attraversare il Ponte di Margherita sotto il clima che si fa via via più ingeneroso: prima pioggerella, poi nevischio poi anche un po' di vento.
Sara e la sua reflex si dedicano nella produzione di una serie di foto in stile cartolina. Non è una cosa semplice come chiunque possa pensare. Niente del genere punta-guarda-e-scatta così comune tra le nuove generazioni di fotografi. Eh no! Sara è professionale, ogni foto richiede il suo componete che si un obiettivo, una luce o un Aurora in posa da qualche parte. Va da se che ogni foto richiede svariati minuti per essere portata a termine tra le manovre di assemblaggio e preparazione. Non stiamo poi a parlare del blocco del traffico conseguente. Con un attento studio siamo anche giunti alla conclusione che nel momento in cui Sara punta la sua fida reflex un qualche tipo di mezzo pesante passerà davanti all'obiettivo. Sempre. Nei musei eravamo sempre costretti a scansarci.
Mentre io e Sara eravamo intenti nelle operazioni di di assemblaggio Aurora cercava di convincere Alessandro che “si, non è una tua impressione: questo fiume è più grande del Tevere”. C'è voluto un po' ma alla fine la ragione ha prevalso sul campanilismo.
Alla fine un po' il tempo un po' l'ora un po' il fatto che sull'isola con una giornata simile non c'è nulla se non i serial killer si decide di andare a mangiare seguendo i suggerimenti della Guida. Qui vicino c'è un ristorante con menù fisso a 800 fiorini (2 euro). Ci fiondiamo lì, ovviamente prendendo la Via Lunga. Quella che passa per la strada sbagliata.
Arriviamo alle 15, ci sediamo, fuori inizia a diluviare. La cameriera ci informa che il menù è finito e ci fissa con l'aria di chi vuol sapere cosa vogliamo e vuole saperlo ORA.
Ordiniamo delle patate fritte e varie zuppe e zuppine che stanno sempre bene e guadagniamo un po' di tempo. Com'è ovvio dal menù non è dato sapere in cosa consistano i piatti, le uniche due guide sono le traduzioni “ a sentimento” di Sara e i prezzi. Visto e considerato che siamo gente a cui non solo piace mangiare ma anche sperimentare il cibo indigeno quando la cameriera ritorna si ordina un po' di tutto in ordine sparso con una serie di accordi del tipo “tu prendi e gli altri assaggiano”. La cameriera ci guarda sconvolta, un paio di volte fa per andarsene ma viene fermata per completare le ordinazioni. Ci guarda come se fossimo pazzi.
Quando arrivano i piatti capiamo che ha ragione. Gli ungheresi hanno evidentemente una diversa tradizione culinaria. La differenza fondamentale sta tutta nelle dimensioni delle porzioni: ogni piatto, anche quelli che sul menù sembravano stuzzichini, è in realtà un pranzo a sé. Emblematico è il caso del “formaggio tipico impanato e condito” che noi credevamo essere una specie di sofficino esotico che si rivela invece essere una mattonella di formaggio fritto alta due dita. Il pranzo va avanti come una battaglia campale. Fuori piove, la cameriera ogni tanto passa e ci guarda come a dire “io ho provato ad avvisarvi”.
Usciamo dal ristorante verso le 17 con le panze in mano e un irrefrenabile desiderio di buttarci su un letto. Facciamo tappa in un negozio di dolci tipici e non dall'aria invitante, Sara e Aurora hanno un piano in mente: quei dolci possono diventare la nostra cena “leggera” o una colazione dei campioni.

A casa il tempo passa. Il fatto che io non ricordi assolutamente cosa sia successo dopo mi fa dedurre che non ci sono altri eventi degni di nota per la giornata. Si, avremmo voluto fre un giro sul fighissimo bus anfibio che prima ti porta a spasso per la città e poi si butta nel Danubio diventando battello ma dopo un attenta analisi dei costi (35 euri) decidiamo che non è poi così figo da sacrificare quasi tre pasti.

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