lunedì 15 ottobre 2012

Grunt (1)


Grunt annusava l'aria con fare pensoso. Le sue narici si dilatavano mentre le miriadi di sensori olfattivi rapivano molecole d'aria e le interrogavano brutalmente. L'aria era fredda, la neve copriva tutto attutendo i rumori ed abbassando le già scarse possibilità di sopravvivenza.

Nell'aria c'era l'odore di un predatore: qualcosa di grosso, violento e probabilmente interessato alla carne di Grunt quanto Grunt era interessato alla sua. L'uomo-scimmia rimase immobile tra le rocce innevate stringendo il bastone appuntito e guardandosi freneticamente intorno. Non era ancora stata inventata la religione, per ora gli sciamani si limitavano a dire che lo sapevano loro come funzionava privando Grunt e i suoi simili di un facile bersaglio per preghiere e imprecazioni. Da qualche parte dovevano esserci gli altri cacciatori ma lui non li vedeva. Dire che era il più stupido della tribù sarebbe stato semplicistico visto che al momento l'intelligenza era ancora un embrione di idee sparse qua e la. Il vero problema di Grunt era che pensava troppo: ragionava si chiedeva i perché delle cose e come si sarebbero potute fare in modo migliore. Vista quindi la sua particolare attitudine all'innovazione gli anziani della tribù lo avevano assegnato ai gruppi di caccia sperando che la natura provvedesse al resto.

Quando il grosso orso (o meglio Cosa-pelosa-artigliata-molto-violenta). Spuntò dalla radura tutti gli istinti di uomo-scimmia in Grunt gridarono grossomodo la stessa cosa: scappa! A questo punto però intervenne quella grossa massa grigia che tanta importanza avrebbe avuto nei secoli a venire. Poche semplici scariche elettriche tra i neuroni convinsero il corpo di Grunt a lanciarsi verso la bestia invece di correre il più lontano possibile. La lancia di legno malamente intagliata colpì la bestia. Grunt non se la stava vedendo bene, anzi tra pochi secondi avrebbe scoperto se gli sciamani avevano ragione. Fortunatamente gli altri cacciatori, tutti uomini-scimmia grossi e muscolosi, intervennero. Dopotutto se il più debole del branco attacca gli gli altri non possono fare brutta figura.

Per quanto la civiltà fosse ancora un idea lontana i cacciatori avevano ben chiaro cosa dovevano fare: affonda lì distrai là, urla un po' e soprattutto evita i grossi artigli. Non ci volle molto, i cacciatori erano un gruppo abbastanza affiatato, nonostante Grunt, e riuscirono presto ad avere ragione della bestia. La discussione subito successiva non merita di essere riportata. Basti sapere che dopo una serie di guardi in cagnesco versi gutturali e qualche rapida minaccia Grunt e altri due uomini-scimmia afferrarono la bestia e si prepararono a trascinarla a l villaggio.



Nel freddo della notte il fuoco bruciava. Le fiamme guizzavano all'ingresso della grotta con un'aria di superbia tipica di chi sa di essere indispensabile. Un paio di donne-scimmia lo sorvegliavano buttando ogni tanto qualche rametto per ravvivare le fiamme. Non avevano ben chiaro il meccanismo delle stagioni ma di una cosa erano entrambe abbastanza sicure: quel freddo durava da troppo tempo. Se ne lamentavano per quanto il lungo gelo le risparmiasse il gravoso compito d'andar a caccia di bacche stavano iniziando a notare entrambe come il cibo stesse scarseggiando e di come i cacciatori tornassero sempre più tardi con prede sempre più piccole.

Molto dopo che il sole era tramontato gli finalmente i cacciatori si rifecero vivi: Urk il più grosso guerriero della tribù apriva la strada seguito dal suo personale branco. In fondo alla fila Grunt intento a tirare con tutte le sue forze la carcassa del grosso orso.

Urk si fermò per qualche istante al limitare del fuoco, qualcosa nel suo piccolo cervello lavorava per mantenere la teatralità. I suoi muscoli e rilucevano sotto le fiamme la sua statura ingobbita gli dava un idea di possanza che le donne moderne non potrebbero cogliere. Poi la sua fronte si corrugò , in segno di un grande sforzo mentale. Dopo alcuni grugni e false partenze il giovane disse:

“portato cibo!”

ci vollero altre due ore mentre le donne si indaffaravano a pulire la bestia e cuocere sul fuoco grossi pezzi di carne. Come al solito gli anziani mangiarono per primi. Poco dopo i cacciatori poi donne e bambini. Infine qualche donna sufficientemente sazia si accorse di Grunt e malvolentieri prese a scottare un altro pezzo di carne. La carcassa dell'orso durò qualche giorno. Nessuno nella tribù lo notò. Da molto tempo non si vedevano più Cose. Non c'erano più bacche il cibo scarseggiava e probabilmente l'orso che ora riempiva le pance degli uomini-scimmia era uno degli ultimi ritardatari.



Quella notte Grunt fece un sogno. Lo faceva spesso in relatà. Da quando la sua tribù era stta sconfitta e lui era stato preso. Il concetto di schiavismo era troppo complicato per gli uomini-scimmia, il tutto si limitava a un più blando “fai quello che io dice o io mazza in testa te”. Grunt aveva accettato quella situazione come un cane debole accetta il proprio capobranco. Era isolato e reietto ma non per questo inutile. Ad esempio era un esca ideale. Gli altri nella tribù non lo consideravano molto e questo in parte gli stava bene. Essere considerato troppo intelligente per poter essere utile aveva i suoi vantaggi: ad esempio, se sopravviveva alle battute di caccia aveva un sacco di tempo per se.

Quello che stava sognando adesso risaliva a un inverno precedente al lungo inverno i cui si trovavano. Era seduto su un masso fermo immobile con la testa posata su un pugno ad osservare la prima neve che copriva le cose. Era un pessimo uomo-scimmia ora come allora. Uno di quelli che si chiede il perché delle cose, uno di quelli che da il tormento agli sciamani per sapere e capire cosa succedeva. Lo sciamano della tribù aveva creato un piccolo pantheon di dei sono per spiegare i suoi dubbi. Là dove il resto degli uomini-scimmia si limitava a venerare il fuoco.

In quel giorno di inizio inverno Grunt fissava l'orizzonte concentrando la mente sui fiocchi di neve che cadevano. Era solo fuori dalla grotta, di guardia. Gli altri dormivano ammucchiati al caldo. Sentì un rumore. Il rumore che fanno gli uccelli in volo e levò lo sguardo incuriosito e speranzoso ala possibilità di un possibile pasto fuori programma. Nel cielo uno stormo di uccelli volava verso le montagne. A Sud, anche se per lui questo non significava nulla. Li vide allontanarsi. Nelle ore successive di veglia ne vide altri e poi altri ancora.

Nel sogno Grunt riviveva quei momenti, le stesse domane ora come allora: dove vanno? Perché ci vanno? Per quanto si sforzasse non riusciva a capirlo. Ma nel sogno non erano solo gli uccelli ad andare via: lupi, orsi e ogni genere di bestia andava verso i monti e poi oltre. Il villaggio rimase avvolto nel silenzio. Gli altri dormivano. La neve si ostinava a cadere. Poi anche gli alberi si mossero: sollevarono le grosse radici e si incamminarono barcollanti. Prima uno poi un altro. L'intera foresta si mise in viaggio. Ma il villaggio rimase immobile. La neve continuava a cadere finché non diventò tutto bianco. E lui rimase solo.

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