mercoledì 2 gennaio 2013

creatività


Tomas Mendosa è fermo in mezzo alla stanza. Il fissa gli occhi sul pavimento a scacchi cercando di non pensare al resto della mobila che muta in continuazione come mercurio portato all'ebollizione. Non vuole pensarci, forse è impazzito, forse sta succedendo qualcosa di più grande di lui. Non lo vuole sapere. Della lunghissima serie di bisogni presente in ogni essere umano non resta nulla se non l'istinto di uscire da lì il prima possibile.
Tutto sta nel capire dove sia “lì”.
Ha smesso di guardare le finestre da quando il paesaggio ha iniziato a cambiare: prima New York, poi una città futuristica, poi una landa desolata piena di morti viventi. L'edificio in cui si trova ha almeno mantenuto un minimo di coerenza: da penitenziario è passato prima a riformatorio, poi ad albergo. Pochi secondi fa era una qualche struttura militare ma ora già ha preso l'aspetto di una caserma. Nella testa di Tomas ronza un solo pensiero: lui è il capo di questo posto atroce, lui è il responsabile e se la struttura (e il mondo) la smettessero di mutare magari potrebbe anche fare qualsiasi cosa sia richiesta dal suo ruolo. In questo mondo mutevole le uniche certezze di Tomas stanno nella sua testa, ma non sono incoraggianti: sa di essere un pezzo di merda, sa (non chiedetegli come) che in qualche momento del prossimo futuro farà del male a dei bambini, sa che farà una fine orribile e che avrà meno di dieci minuti di gloria. Nulla di incoraggiante ma a sentire gli esperti gli umani sono produttori naturali di false speranze.
Visto che sta cambiando tutto magari potrebbe cambiare anche lui? Magari anche il suo futuro? Potrebbe cavarsela? Di sicuro no se resta impalato nel corridoio a contare le mattonelle. La fortuna alle volte bisogna aiutarla.
Il corridoio non cambia mai forma, a volte cambiano gli intonachi e i mobili ma punta sempre verso un unica porta. Magari è lì che deve andare a prescindere dal suo istinto che gli sta consigliando di farla finita lì e impazzire una volta per tutte.
Tomas muove i primi passi e la struttura si stabilizza, riformatorio pare, brutto segno. La porta è sempre lì, da vicino riesce a leggere il suo nome sulla targhetta. Mano sulla maniglia, un bel respiro e …

Napoli, fuori piove, fa un freddo che non ha rispetto dei soldi spesi in riscaldamento. Gente che si aggira per casa si ferma in un punto, parla e poi va via senza essere interessata alla risposta. Davanti al portatile perdo il filo di quello che stavo scrivendo, una, due,tre volte. Rileggo l'ultima battuta.
Oddio, l'ho scritta io sta merda?
Cancello la pagina. Penso qualche secondo e ricomincio.
Dall'altra stanza qualcuno mi chiama, mollo tutto. Vado a vedere. No, no niente.
Riguardo la pagina per riprendere il filo, un paio di dialoghi e un nome tornano a essere pixel bianchi. Sto per scrivere, alzi le mani
A TAVOLA!
Poi tutta una serie di urli di risposta. Chi cerca tempo, chi protesta, chi non ha sentito.
Mollo tutto, finisco dopo. Qualunque cosa doveva fare Tomas in questa storia è dimenticata nei meandri del casino che fermenta in casa.

Poi uno dice perché scrivo di notte.

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