Ho fatto tardi, ho perso la metro,
avevo messo a fare il bucato e mi sono rimbecillito con un altro
telefilm (che già conosco). Non avevo manco tutta sta voglia di
andarci a ritirare il diploma. Giuro. Per come sono andate avrei
fatto bene. Anzi avrei fatto ancora meglio a tornare a Napoli per il
week end chiudermi dentro la stanza e buttare via la chiave. Ma
tant'è e quindi a noi.
Arrivando con ampio ritardo mi sono
perso quella che credo sia stata la parte “divertente” della
festa della scuola. Giordano,
Martina, Damiano e Andrea mi vengono incontro fuori. Coca cole e
millantati panini. Al festa è talmente interessante e viva che si
decide di andare in fumetteria.
In
teoria questo fantasmagorico evento mondano è stato pensato per
premiare i vincitori del Succhiasangue contest, un concorso
organizzato da scuola nel mentre si è anche pensato di approfittare
dell'occasione per dare a noi dei corsi sfigati
i diplomi largamente meritati a colpi di ricevuta di pagamento. Max
ci raggiunge poco dopo e tutti insieme pensiamo di scender sotto pure
per assecondare la nostra cenerentola Potentina (Andrea) che vive
nella costante ansia di perdere il bus per casa.
Ora
chiudete gli occhi ed immaginate: aria pesante, umida, rampe di scale
che scendono decorate da quadretti di fumetti e illustrazioni. Poco
più sotto, dietro la curva delle scale, una voce squillante di
quelle che fanno venire alla mente il trapano elettrico del dentista.
Giri l'angolo e sembra di essere tornati ai tempi delle occupazioni a
scuola.
Sulle
scale sono accampate un gruppo di facce sconosciute davanti a noi il
banco dell'accettazione di scuola e un banco coperto di confezioni di
dentiere da vampiro (la loro idea di festa a tema vampiri). In piedi
in mezzo a quello spazio angusto tra accettazione e corridoio delle
aule l'origine della voce squillante che con tutta la solennità del
caso sta consegnando i premi per sto benedetto succhasangue contest:
delle targhe di simil legno. Uno dei vincitori ha una faccia
conosciuta contrita nell'imbarazzo della sontuosa premiazione. Foto,
applausi di circostanza e via al passo successivo.
I
diplomi: si inizia da sceneggiatura. Lorenzo non è potuto venire e
la cosa, unita al sontuoso corridoio dove viene celebrata la
“cerimonia della consegna dei diplomi” (tanto per citare l'invito
su facebook), fa una brutta aria di cose a tirar via, di corso dei
poveri e di faccenda da sbrigare in fretta che si fredda il
polpettone.
La
maestra di cerimonie è la stessa: una donna tracagnotta che viene
presentata come la “regina dell'horror”. Io non riesco a staccare
gli occhi dai suoi capelli ipnotizzato dal pensiero che forse prima
quella massa di pelo fosse una qualche creatura con un ciclo
biologico a parte.
Vengono
chiamati i nomi in ordine alfabetico. I primi tre mancano e qualcuno
dell'organizzazione si fa scappare un “cominciamo bene” a mezza
voce. Non lo tengo sotto tiro. Conto fino a mille. Intanto prima
Martina poi Giordano poi Andrea hanno i loro trenta secondi di
celebrità: consegna della cartelletta con diploma, piazzamento per
foto di rito con uno di contorno che dice “fa vedere i denti!”
con quell'entusiasmo tipico della gente che ti fa “auguri mò so
trenta!” e poi ridono a crepapelle come se i trenta non fossero i
tuoi anni.
Chiamano
me rubo il cappello molto rock di Giordano e mi avvio, labbra
serrate, sorriso ebete, poso per la foto.
“fa
vedere i denti”. Dice quello con entusisamo, come se a furia di
ripeterla la “battuta” migliori.
Io mi
allungo di lato spiazzando la povera fotografa (una delle ragazze di
segreteria con una macchinetta digitale in mano) prendo una delle
dentiere dal tavolino e la espongo come trofeo in risposta. Risate
foto e tanti complimenti. Ci giriamo e andiamo via.
A metà
delle scale una voce ci ferma. La voce appartiene a un uomo che deve
essere caduto rovinosamente col viso in svariati barattoli di tinta.
Ha i capelli bianchicci ma neri a chiazze i baffi mostrano ampie
macchie gialle di nicotina e lo stesso nero finto. Il tutto
contornato da un cappellaccio alla texana che mi fa venire in mente i
Simpson. Non ricordo le esatte parole. La verità è che me ne volevo
andare il più presto possibile. Non ero dell'umore e la sontuosa
cerimonia non ha aiutato.
Lui
dice qualcosa del tipo: “se poi quelli che hanno preso 30...”
pausa, rumore di ingranaggi “... anche la lode. Vogliono passare la
settimana prossima” pausa d'effetto. Martina ci casca “perchè?”
“vi
facciamo lavorare” conclude lui ad effetto.
Ricordo
quello che mi ha raccontato Valerio riguardo ad una proposta simile
ma, come miliardi di persone prima di me, penso che stavolta è
diverso. O ci spero.
Andiamo
via. Tutti hanno fretta. È sabato pomeriggio, tutti hanno i loro
cazzi per la testa. Saluti veloci. Promesse solenni, organizzazioni.
Sembra come quando ci si saluta da una vacanza.
Scendo
a Termini con la metro. Me la faccio a piedi fino a casa. Di colpo ho
otto anni, la febbre a trentotto. Dopo una feroce battaglia mai madre
mi ha convinto a prendere quel dannato sciroppo, quello che
puntualmente vomito dopo dieci minuti. Ora a vent'anni di distanza
sento in bocca lo stesso sapore.
Nessun commento:
Posta un commento