sabato 22 settembre 2012

ultimo atto


Ho fatto tardi, ho perso la metro, avevo messo a fare il bucato e mi sono rimbecillito con un altro telefilm (che già conosco). Non avevo manco tutta sta voglia di andarci a ritirare il diploma. Giuro. Per come sono andate avrei fatto bene. Anzi avrei fatto ancora meglio a tornare a Napoli per il week end chiudermi dentro la stanza e buttare via la chiave. Ma tant'è e quindi a noi.



Arrivando con ampio ritardo mi sono perso quella che credo sia stata la parte “divertente” della festa della scuola. Giordano, Martina, Damiano e Andrea mi vengono incontro fuori. Coca cole e millantati panini. Al festa è talmente interessante e viva che si decide di andare in fumetteria.

In teoria questo fantasmagorico evento mondano è stato pensato per premiare i vincitori del Succhiasangue contest, un concorso organizzato da scuola nel mentre si è anche pensato di approfittare dell'occasione per dare a noi dei corsi sfigati i diplomi largamente meritati a colpi di ricevuta di pagamento. Max ci raggiunge poco dopo e tutti insieme pensiamo di scender sotto pure per assecondare la nostra cenerentola Potentina (Andrea) che vive nella costante ansia di perdere il bus per casa.



Ora chiudete gli occhi ed immaginate: aria pesante, umida, rampe di scale che scendono decorate da quadretti di fumetti e illustrazioni. Poco più sotto, dietro la curva delle scale, una voce squillante di quelle che fanno venire alla mente il trapano elettrico del dentista. Giri l'angolo e sembra di essere tornati ai tempi delle occupazioni a scuola.

Sulle scale sono accampate un gruppo di facce sconosciute davanti a noi il banco dell'accettazione di scuola e un banco coperto di confezioni di dentiere da vampiro (la loro idea di festa a tema vampiri). In piedi in mezzo a quello spazio angusto tra accettazione e corridoio delle aule l'origine della voce squillante che con tutta la solennità del caso sta consegnando i premi per sto benedetto succhasangue contest: delle targhe di simil legno. Uno dei vincitori ha una faccia conosciuta contrita nell'imbarazzo della sontuosa premiazione. Foto, applausi di circostanza e via al passo successivo.



I diplomi: si inizia da sceneggiatura. Lorenzo non è potuto venire e la cosa, unita al sontuoso corridoio dove viene celebrata la “cerimonia della consegna dei diplomi” (tanto per citare l'invito su facebook), fa una brutta aria di cose a tirar via, di corso dei poveri e di faccenda da sbrigare in fretta che si fredda il polpettone.



La maestra di cerimonie è la stessa: una donna tracagnotta che viene presentata come la “regina dell'horror”. Io non riesco a staccare gli occhi dai suoi capelli ipnotizzato dal pensiero che forse prima quella massa di pelo fosse una qualche creatura con un ciclo biologico a parte.

Vengono chiamati i nomi in ordine alfabetico. I primi tre mancano e qualcuno dell'organizzazione si fa scappare un “cominciamo bene” a mezza voce. Non lo tengo sotto tiro. Conto fino a mille. Intanto prima Martina poi Giordano poi Andrea hanno i loro trenta secondi di celebrità: consegna della cartelletta con diploma, piazzamento per foto di rito con uno di contorno che dice “fa vedere i denti!” con quell'entusiasmo tipico della gente che ti fa “auguri mò so trenta!” e poi ridono a crepapelle come se i trenta non fossero i tuoi anni.

Chiamano me rubo il cappello molto rock di Giordano e mi avvio, labbra serrate, sorriso ebete, poso per la foto.

fa vedere i denti”. Dice quello con entusisamo, come se a furia di ripeterla la “battuta” migliori.

Io mi allungo di lato spiazzando la povera fotografa (una delle ragazze di segreteria con una macchinetta digitale in mano) prendo una delle dentiere dal tavolino e la espongo come trofeo in risposta. Risate foto e tanti complimenti. Ci giriamo e andiamo via.

A metà delle scale una voce ci ferma. La voce appartiene a un uomo che deve essere caduto rovinosamente col viso in svariati barattoli di tinta. Ha i capelli bianchicci ma neri a chiazze i baffi mostrano ampie macchie gialle di nicotina e lo stesso nero finto. Il tutto contornato da un cappellaccio alla texana che mi fa venire in mente i Simpson. Non ricordo le esatte parole. La verità è che me ne volevo andare il più presto possibile. Non ero dell'umore e la sontuosa cerimonia non ha aiutato.

Lui dice qualcosa del tipo: “se poi quelli che hanno preso 30...” pausa, rumore di ingranaggi “... anche la lode. Vogliono passare la settimana prossima” pausa d'effetto. Martina ci casca “perchè?”

vi facciamo lavorare” conclude lui ad effetto.

Ricordo quello che mi ha raccontato Valerio riguardo ad una proposta simile ma, come miliardi di persone prima di me, penso che stavolta è diverso. O ci spero.



Andiamo via. Tutti hanno fretta. È sabato pomeriggio, tutti hanno i loro cazzi per la testa. Saluti veloci. Promesse solenni, organizzazioni. Sembra come quando ci si saluta da una vacanza.



Scendo a Termini con la metro. Me la faccio a piedi fino a casa. Di colpo ho otto anni, la febbre a trentotto. Dopo una feroce battaglia mai madre mi ha convinto a prendere quel dannato sciroppo, quello che puntualmente vomito dopo dieci minuti. Ora a vent'anni di distanza sento in bocca lo stesso sapore.

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