venerdì 4 maggio 2012

Sushi e tarantelle


Quando la merda inizia a piovere ognuno ha i suoi metodi: c'è chi si stona d'alcool, chi si ingozza di birra e patate fritte, chi rielabora il tutto in una surreale conversazione a base di “cioè” e marjuana. Se fossimo Bruce Willis imbracceremmo un fucile per andar a far strage di cattivi ma a ci mancano il fisico e l'equipaggiamento, quindi ci accontentiamo di instupidirci di cibo e sperare per il meglio.



A giudicare dalla merda che viene giù ultimamente sembra che il Padreterno sia andato a cena in uno di quei dubbi ristoranti cinesi in cui ogni piatto ti promette fitte intestinali. A guardar bene sembra la spiegazione più probabile.



Il super avvocato di Aurora è stato abbastanza abile da farsi fare fesso come un qualsiasi turista alla stazione Garibaldi. Non scenderò nei dettagli ma per Aurora è stato come vincere alla lotteria e poi perdere il biglietto.



A situazioni del genere si reagisce in mille modi diversi, Aurora opta per il sushi. Un ristorante a Piazza Bologna ha fatto l'errore di farsi trovare da lei. Il ristorante segue una sua logica: entri pagni 20 euro e poi ordini, quanto vuoi e finchè puoi, se ti entra nello stomaco va tutto bene se lo lasci nel piatto lo paghi a parte oltre i 20 sacchi già posati.



Un rapido giro di chiamate e la truppa è riunita. Gli irriducibili delle disgrazie nostre ed altrui pronti a fare da consolatori finchè c'è un piatto di cibo davanti e un bicchiere pieno. Ma i giapponesi non sono fessi. Alle nostre ordinazioni infinite, almeno una decina di piatti a testa, rispondono con la loro arma più feroce: riso. Ovunque e in quantità.



Chi di noi ha fatto lo sborone nell'ordinazione inizia a pentirsene mentre quintali di riso accompagnati da pochi grammi di pesce si stipano e fermentano nello stomaco. La conversazione muore lentamente mentre ognuno di noi diventa man mano più assorto nella sua personale battaglia. Aurora, guidata dalla rabbia, continua a riempirsi lo stomaco di cibo. Suo, nostro diventano presto parole ininfluenti mentre i piatti continuano ad arrivare. Un cameriere infame ci guarda con soddisfazione. Ci stiamo arrendendo.



Alcuni si appoggiano allo schienale, sfiniti, siamo riusciti a mangiare grossomodo tutto ma siamo più che provati. Annaspiamo sulle sedie. Aurora fa un altra ordinazione ad uno sconvolto cameriere che ci credeva sconfitti.



Usciamo, fumiamo, chiacchieriamo e smaltiamo il cibo in eccesso. Il riso smette di fermentare e si stabilizza. Chiacchiere e saluti e poi ancora chiacchiere.



Stamattina, seduto sulla tazza, rifletto: il Padreterno non è andato al ristorante cinese. Sono pronto a scommettere che lui e i suoi sono andati ad ingozzarsi in un ristorante giapponese “all you can it”.

Ed ora noi ne paghiamo le conseguenze.

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