domenica 25 novembre 2012

il vino buono



<<Ussupprupu.>> dice Sandro con gli occhi spiritati di alcool e la faccia tipica di chi la sa lunga. Lui giura che è una parola etrusca che sta per qualcosa che ora non ricorda ma il suono che ha prodotto è più simile ad un rutto parlato. Irina, la sua moglie tedesco-franco-austrica lo guarda con un misto di commiserazione e divertimento mentre versa il vino al cliente.
Bolsena, estate. L'aria è fresca la gente sta fuori alle case nella piazza del castello. Si chiacchiera in almeno sette lingue diverse ma il succo delle conversazioni è sempre lo stesso. Se non fosse per i lampioni elettrici uno potrebbe pensare di essere finito nel quattrocento ma è solo il fascino suggestivo del paese vecchio.
Bolsena. Ad un occhio inesperto e digiuno di architettura potrebbe sembrare che qualcuno abbia appallottolato un grumo di case e strade e poi le abbia buttate alla buon e meglio su una montagna. Come hanno già imparato generazioni di turisti tedeschi le strade sembrano avere vita propria e se proprio non si muovono comunque cercano di confondere al meglio le idee. Ma a Sandro tutto questo non importerebbe se fosse sobrio, figuriamoci adesso. In quel piccolo microcosmo lui è la terza carica dello stato: c'è il sindaco, c'è il dottore e poi c'è lui. La sua attività è punto focale della vita del paese vecchio anche se non erano queste le intenzioni iniziali. In principio la vineria doveva essere un posto dove bere in pace. Poi, sera dopo sera, Sandro ha ripercorso tutte le tappe dell'economia umana: un bicchiere ad un amico, un bicchiere in cambio di quel buon sigaro, un bicchiere per un occhiata a del lavandino che perde e infine un bicchiere per quegli strani fogli di carta colorata che ogni sera Irina ordina con tanta cura nella cassetta sotto al bancone.
La vineria è un posto accogliente. Probabilmente lo scantinato di un appartamento che però da sulla strada: sgabelli, bancone qualche botte vuota che fa ambient. Sarebbe un qualcosa di abbastanza anonimo ma il trucco sta poco più in là. Un'apertura nel muro di destra che porta sotto in quelle che sembrano un incrocio tra grotte naturali e la cantina di un contrabbandiere del tardo anno mille. Qui riposano una quantità imprecisata di bottiglie di vetro verde scuro. Le “bottiglie speciali” le chiama Sandro. Sua moglie invece usa un termine più colorito ma, dopo dieci anni di matrimonio, lui non sa manco a che lingua appartenga. A lei non piace scendere lì sotto, almeno non troppo in basso. Non dove ci sono le “bottiglie Speciali” e se proprio deve andarci lo fa solo col giorno.
Valla a capire.
Agli amici di Sandro invece quel posto piace. Le temperatura non va mai sopra i 13° il che è un bene sia d'inverno che d'estate. Spesso, quando fuori c'è la neve, lì sotto uomini liberi dagli attenti occhi femminili fumano pipe e sigari raccontando cose inimmaginabili. Altre volte succedono altre cose.

Fuori. È una notte come tutte le altre: i tedeschi continuano a vagare per i vicoletti facendo foto. La gente crede che siano interessati all'architettura ma in realtà stanno cercando di ritrovare l'albergo. Molti si arrendono davanti alla vineria. Cinque euro per un bicchiere riempito a metà o per metà vuoto, sta alla natura umana decidere. Nella piazza sui grossi tavolacci di legno turisti meno forestieri consumano cene frugali mischiandosi ai nativi che non hanno voglia di stare in casa. È un mescolarsi di accenti perché Bolsena è in mezzo al nulla ma anche al centro di tutto.

Sandro fuma la canna seduto fuori alla vineria. Ogni tanto pronuncia perle di saggezza per chi le vuol sentire altrimenti si limita ad ascoltare gli altrui discorsi sottolineandone i punti salienti con un verso che lui giura essere etrusco. Più in là un ragazzetto di città decide che proprio questa è la sera giusta per sbronzarsi di vino a colpi di 5 euro a bicchiere. Al secondo inizia a diventare molesto. Sandro osserva e valuta nascosto nel suo personale mantello dell'invisibilità etilico. “non va bene” pensa. Il suo sguardo passa ad altro in cerca di qualcosa.

Poco più in là e poco più su due persone e mezzo siedono sulla fontana del paese: due sono coscienti e moderatamente brilli, l'altro sta valutando se vomitare o accasciarsi semplicemente sulla panchina. Il paese è deserto: i nativi si sono coricati e i turisti si sono accasciati agli angoli delle strade abbandonando la ricerca dell'albergo. Quando Sandro li vede decide che vanno bene. Si avvicina con una delle bottiglie speciali. Parla dell'universo della vita e di tutto il resto, che per un ubriaco significa parlare del più e del meno. Condivide la bottiglia con i due mentre il terzo si accascia decidendo che è ora di dormire.


Fa freddo. Non l'aria fresca della sera Bolsenese, è un tipo di freddo molto più prepotente che fa rizzare tutti i peli delle braccia scoperte. C'è umido, c'è puzza, forse muffa o forse residui di nicotina di tanti anni fa. C'è incenso. Ma c'è anche qualche altra cosa. O meglio manca: la luce. È poca gli occhi fanno fatica a percepirla come se qualcosa la assorbisse prima che questa possa imprimersi sulle retine. C'è un dolore sordo alla schiena e un freddo ancora più intenso. Sono stesi entrambi sulla roccia al buio. Da qualche parte in lontananza Sandro struscia i piedi su terreno della piccola grotta. I ragazzi non lo possono vedere ma sentono i passi e i mormorii.

C'è anche qualche altra cosa. Qualcosa che aspetta, o forse è solo un sensazione prodotta dall'adrenalina mista all'alcool e alla cannabis. No, c'è qualche altra cosa. Le ombre dipingono volti sulla roccia. Volti o cose ancora peggiori. Hanno visto abbastanza film dell'orrore per sapere che da ora in poi le cose difficilmente si metteranno bene. Sono legati e qualcosa li osserva come l'ubriacone osserva una bottiglia piena.

Sandro sale le scale si sente un po' ridicolo in quella tunica ma non ci bada. A vederlo nella vita di tutti i giorni stupisce la maestria con cui tiene il coltello cerimoniale. I due ragazzi si lasciano sfuggire un gemito che vorrebbe essere urlo quando lui entra nel loro campo visivo.

“Ussupprupu uttu gozzo Ussu” scandisce Sandro con voce chiara e ferma.
In antico dialetto Etrusco.

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